Alamar

González-Rubio

Natan, un bambino di cinque anni, è figlio di padre messicano e madre italiana. I suoi genitori stanno per divorziare e lui seguirà sua madre a Roma, ma prima che questo avvenga suo padre Jorge decide di fargli conoscere la tradizione messicana, in modo che costituisca per sempre un legame con lui. Così un giorno, i due lasciano la loro casa a Playa del Carmen e prendono un autobus diretti a Sud, dove li aspetta una piccola barca a nolo. La loro destinazione è la scogliera Chinchorro, distante 30 chilometri da Majahual. I due però vengono presi da un forte mal di mare e accolgono l’incontro con Matraca, un vecchio pescatore della zona, come una benedizione. Matraca li accoglie nella sua baracca in riva all’oceano e nei giorni successivi, li trascina con sé lungo paesaggi mozzafiato. A bordo della sua piccola nave a motore, padre e figlio andranno a pesca, si divertiranno a fare snorkeling, instaureranno un rapporto con gli animali e si riempiranno gli occhi di uno degli ultimi paradisi naturali rimasti al mondo. Per Natan si avvicina il momento di partire, ma non potrà mai più dimenticare quegli ultimi giorni trascorsi con suo padre… Pedro González-Rubio riesce ad assumere lo sguardo di un bambino per costruire un film asciutto e privo di retorica: splendidi paesaggi, dialoghi essenziali, tanta poesia!

Messico 2009 – 1h 13’

Dopo Tanna, altro film quasi documentario sulla natura e le sue mille e faticose meraviglie. (…) Mare, sole, vento, uccelli con fair play, onde, pesci abbattuti e arrostiti senza pietà, pasti rustici, sabbia, tempeste gabbiani senza Ebbtide: una provvista di elementi e di sentimenti primordiali prima del ritorno nella «civiltà». Come in Odissea nuda, due culture ancora lottano rivali riprese in una fotografia ondivaga bellissima, ad altezza di emozione di piccino, tutta farina del sacco di Pedro Gonzalèz-Rubio che trasmette emozioni semplici in una cornice selvaggia, ma pronta alla cartolina.

Maurizio Porro – Il Corriere della Sera

 

Si esce da questo minuscolo, toccante, mélo caraibico abbagliati da luci e colori tropicali nel modo verginale in cui il piccolo protagonista li scopre. (…) Stessa operazione di fiction in documentazione antropologica del nostro Fuocoammare o del recente australiano Tanna, ruba da una tradizione che va da Murnau e Flaherty al nostro Quilici. È pure un’opera in difesa dell’atollo patrimonio Unesco invaso dalla modernità.

Silvio Danese – Nazione-Carlino-Giorno

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