Gatta cenerentola

Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri, Dario Sansone

Italia 2017 – 1h 26′

 VENEZIA – Mentre in molti Paesi in giro per l’Europa (e il mondo) l’animazione è ormai un genere dai contorni indefiniti, un mezzo che il cinema ha per esplorare storie irraccontabili con attori in carne ed ossa, in Italia ancora questa tendenza stenta a riprendere il volo. Se si eccettua Enzo D’Alò, non sembravamo avere, insomma, dei Sylvain Chomet o dei Michael Dudok de Wit, e la lezione di Bruno Bozzetto sembrava essere stata assimilata soprattutto all’estero. Anche per questi motivi Gatta cenerentola è un film sorprendente e preziosissimo.


In un futuro (o in un presente?) indefinito, nel golfo di Napoli è ancorata una gigantesca nave ricca di tutte le moderne tecnologie, una specie di arca di Noé del sapere. L’imbarcazione sarebbe destinata a trainare la città e l’umanità intera nel progresso, ma il suo creatore, Basile, viene assassinato proprio il giorno delle nozze da un malavitoso locale che di tutto il sapere del mondo non sa che farsene. La nave in rovina continua a rimanere nel porto, usata come abitazione e come casinò, e i suoi corridoi continuano ad esser percorsi incessantemente da errori di programmazione che, simili ad ectoplasmi, continuano a rimettere in scena ricordi del passato, e tra di essi si muove La Gatta, la figlia di Basile, ripudiata dalla matrigna e dalle cinque sorellastre cattive.
Già dalla trama, Gatta Cenerentola non ha eguali nel nostro cinema. Visivamente straordinaria (e non si dice spesso dalle nostre parti), ambientata in una Napoli decadente e affascinante, battuta incessantemente da una pioggia di cenere scura, questa rielaborazione di Cenerentola manipola con rispetto e inventiva la fabula di Giambattista Basile, inserendola con grande intelligenza e originalità in un contesto visivo tra millenarismo e decadenza. Il quartetto di registi guidati da Alessandro Rak (suo L’arte della felicità, un gioiello che la nostra industria non ha saputo promuovere e difendere adeguatamente) e uniti sotto il nome di Mad Entertainment hanno avuto un’idea vincente: Napoli è la “Cenerentola” d’Italia, desiderosa di un futuro e bellissima ma umiliata, raggirata, e sfruttata da chi è in grado solo di trarne un profitto personale, senza alcuna prospettiva umana prima che morale. La chiave adottata da Mad Entertainment è vincente: difficile resistere all’universo in rovina della nave ed ai personaggi folli (in tutti i sensi) che la abitano. Il tratto spigoloso e nervoso e l’iperrealismo della messa in scena trovano momenti di grande suggestione stilistica, come nel montaggio alternato dei boss malavitosi che si devono incontrare per mettersi in affari insieme. E il tema di una città intera abbandonata a se stessa e alla vena predatoria del malaffare non affonda mai nello stereotipo da denuncia, ma trova una dimensione struggente grazie ai tocchi lirici con cui si parla del venire meno degli affetti in qualunque dimensione al di fuori di quella della memoria. Che tale memoria sia quella individuale o quella collettiva, a cui viene dato magnificamente corpo grazie agli ologrammi che si aggirano incessantemente per la nave, poco importa. Si tratta comunque di un passo perché l’individuo possa ritrovare la dignità e la forza di vivere anche quando sembra non esserci più nulla a cui appigliarsi.
Notevole anche l’espressività dei personaggi, perfettamente in bilico tra sperimentazione europea e tradizione noir dell’anime orientale.

PietroLiberati – MCmagazine 43

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