Figlia mia

Laura Bispuri

Italia/Svizzera/Germania 2018 – 1h 40′

 BERLINO – Proseguendo nella sua ricerca sui vari aspetti della femminilità, la regista italo-albanese Laura Bispuri porta alla Berlinale Figlia mia, unico italiano in concorso. C’era già stata due anni fa con Vergine giurata. Là c’era una donna drammaticamente scissa tra due culture, quella ancestrale dell’Albania e quella italiana di oggi, nonché tra i due aspetti mascolino e femminile della sua personalità; qui lo scontro è tra due diversi modi di essere donna e di conseguenza madre.


Siamo in Sardegna, estate torrida, vita di paese, di mare, tempo di fiere e sagre. Due le protagoniste. Da una parte Tina (Valeria Golino) sempre dolce, pacata, responsabile anche nello scialbo, apparentemente asessuato matrimonio col pescatore Umberto; dall’altra Angelica (Alba Rohrwacher), l’allevatrice di cavalli della vicina fattoria, irrequieta, maschiaccio, facile al bere e al sesso promiscuo, magari in cambio di una birra. Una figura disperata, autolesionista, probabilmente portatrice di un rimorso da cui non riesce a liberarsi. Con Tina e Umberto vive la piccola Vittoria (Sarà Casu), ma ben presto capiamo che (a parte gli inconfondibili capelli rossi) qualcosa non quadra, qualcosa di profondo la lega all’altra donna (e non solo il colore dei capelli); la bambina è evidentemente figlia dell’altra!
Nel corso del film, veniamo messi a pari della storia. Poco dopo la nascita Sara è stata ceduta; per pietà, per denaro (Angelica è sempre senza soldi, piena di debiti, minacciata di sfratto dall’allevamento), per la coscienza di non essere in grado di allevarla. Tina e Umberto, gli amici senza figli, hanno visto realizzarsi Il loro sogno ed in cambio si sono impegnati a dare, forse per sempre, un sostegno economico e non solo alla madre naturale. Ma il sangue grida più forte, la bambina comincia a frequentare sempre di più la strana creatura da cui si sente attratta e che la vizia, la stimola, la fa ridere e ballare. Il patto si rompe, Vittoria ad un certo punto sembra prendere in mano la situazione. Ci sarà un finale aperto, un non finale, ampliamente consolatorio.
Tutto qui? Tutto qui. D’accordo, il film è ben girato, la fotografia della Sardegna d’estate splendida come deve essere. La Golino un po’ sottotono rispetto ad altre prove recenti (ma forse il ruolo lo richiedeva); la Rohrwacher invece straordinaria nella forza (e anche nel coraggio  di interpretare un personaggio scabroso, esagitato, quasi repulsivo. Certo, sopratutto a livello di sceneggiatura, un po’ poco per confrontarsi con uno dei miti e dei dilemmi più antichi dell’umanità: chi è la vera madre? chi partorisce e mette al mondo o chi alleva e “difende” dal mondo? Le risposte sono state tante, al cinema e in letteratura, e forse l’unica geniale e giusta è stata la prima, quella di Re Salomone.

Giovanni Martini – MCmagazine 45

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