Piazza Vittorio

Abel Ferrara

Nel centro di Roma, la storica piazza ottocentesca di stile umbertino, cuore pulsante del rione Esquilino, oggi si divide tra bellezza e degrado. L’occhio di Abel Ferrara si posa sul fascino del suo ​antico splendore, che oggi ospita un microcosmo di etnie e classi sociali delle più varie, dai divi del cinema ai clochard, e sulle sue contraddizioni, sintesi amplificata di una realtà nazionale ancora irrisolta. Un videodiario d’autore che è diventato un documentario, una rappresentazione viva di un’umanità sospesa tra accoglienza, paura, integrazione, difficoltà e rifiuto attraverso immagini, volti e storie del passato e del presente.

 

 

 

Italia 2017 – 1h 22′

Ferrara non dà giudizi (sente i militanti di CasaPound, che ha sede dentro un palazzo di Piazza Vittorio, così come sente Matteo Garrone, che qui abita). Scova i limiti (le innegabili tensioni) e i pregi (gli innegabili stimoli) del multiculturalismo. Lo fa con spontaneità, realismo e onestà…

Luigi Mascheroni – Il Giornale

Mai come in questo momento la questione dei flussi migratori e della relativa convivenza delle diversità ha acquistato una rilevanza decisiva, soprattutto in considerazione delle posizioni assunte dal nuovo governo del nostro paese.
Abel Ferrara dimostra ancora una volta un’onestà, un piglio e un tocco poetico notevoli. Senza scadere nella retorica prevedibile dell’elogio indiscriminato del multiculturalismo, il regista si aggira con lucidità e spirito critico in una delle zone della capitale che, più di tutte, ha vissuto negli ultimi venti-trenta anni una mutazione antropologica incredibile, senza precedenti. Piazza Vittorio (la più grande di Roma e la seconda d’Europa) ha incarnato per lungo tempo il cuore di una certa romanità: l’enorme mercato rionale all’aperto era un luogo in cui ci si aggirava nell’intento di acquistare al miglior prezzo possibile e, nel frattempo, tra un banco e l’altro, si poteva fare esperienza della vitalità di un popolo, della sua irruenza, del suo spirito ludico, sardonico e anche, molto spesso, barbarico, volgare, tribale. Ma quella era la Roma di allora, con i suoi vizi e le sue virtù. Ora tutto ciò è scomparso, travolto da un’invasione umana che ha mutato profondamente il “nocciolo ontologico” della realtà preesistente: asiatici, cinesi in testa, ma anche provenienti dal Bangladesh e dall’India; sudamericani, in particolare peruviani e ecuadoregni; infine, tanti africani, originari dei molti stati che compongono l’immenso continente tagliato dall’Equatore.
Ciò che piace dell’approccio del regista italo-americano, che da tre anni vive proprio a piazza Vittorio, è l’assenza di un giudizio preliminare che ne orienti la ricerca. Nel suo film – che a rigore non può essere definito un documentario, poiché la partecipazione emotiva di chi l’ha realizzato vi penetra felicemente, cortocircuitando l’asetticità di sguardo che tale genere in teoria richiederebbe – è presente la volontà di dare, per lo spazio della durata di un film, risalto al contrasto tra benefici e conseguenze negative prodotte dall’instaurarsi di un micro tessuto urbano multi etnico in cui, evidentemente, non poche sono le contraddizioni. Ferrara intervista parecchi immigrati: alcuni di essi si lamentano della mancanza di lavoro; altri si sono integrati abbastanza bene; altri ancora sono caduti in un abisso di disperazione, conducendo una vita dissoluta, in preda all’alcol, alla violenza, privi di qualsiasi prospettiva per il futuro.
A intervallare queste significative testimonianze intervengono, riferendo la loro esperienza personale, Willem Dafoe e Matteo Garrone, entrambi da molto tempo residenti nel quartiere, divenuto, proprio per la nuova fisionomia che ha assunto, un luogo in cui molti artisti hanno deciso di vivere. L’uno e l’altro tracciano l’itinerario che li ha condotti lì, cogliendone i lati positivi e negativi, sebbene siano istintivamente attratti da quel ‘bisticcio etnico’ che la zona oggi rappresenta.
L’onestà intellettuale di Ferrara è ulteriormente ribadita dal fatto che il regista non abbia esitato a introdursi finanche in quel palazzo occupato, nei pressi di piazza Vittorio, da anni divenuto sede di Casa Pound. Attraverso le interviste ad alcuni esponenti del movimento emergono delle posizioni senz’altro condivisibili, piuttosto ragionevoli, sebbene si ha un po’ la sensazione che si sia cercato di restituire ‘la facciata’ più accettabile, contenendo certi sussulti del ventre che spesso hanno contrassegnato lo spirito di quella parte politica. Ma ciò che conta, al netto di qualunque giudizio che lo spettatore possa emettere, è che Ferrara ha davvero tentato – riuscendoci – di offrire il panorama più ampio possibile di un luogo che oggi simbolizza nella capitale il punto in cui ha preso corpo il massimo grado di incontro tra le diversità. Il regista non ha voluto fornire interpretazioni, piuttosto ha liberato un domandare che esige risposte soddisfacenti.

Luca Biscontini – taxidrivers.it

Lascia un commento