Tonya

Craig Gillespie

 

L’incredibile storia vera di Tonya Harding, pattinatrice artistica su ghiaccio salita alla ribalta internazionale non solo per le sue doti sportive, ma anche per il coinvolgimento nell’aggressione alla collega Nancy Kerrigan, nel gennaio 1994. Più che un film sportivo, la cronaca di un’America trash e amorale, con uno stile che fa tesoro del cinema e della televisione recente (racconti incrociati, sguardi in macchina, tappeto musicale rock) e un contributo interpretativo da oscar.

OSCAR miglior attrice non protagonista a Allison Janney

 

 

I, Tonya
USA 2017 – 2h 1′

II caso di Tonya Harding è stato uno dei più truci in uno sport dall’aspetto soave come il pattinaggio artistico. Alla vigilia dei campionati nazionali Usa, la campionessa Nancy Kerrigan fu colpita alle gambe da un uomo, rapidamente identificato, che dichiarò di aver agito su istigazione del marito della Harding, sua rivale. Il film che oggi rievoca il caso ha nell’incidente” del 1994 un punto culminante, ma è soprattutto la descrizione di un american dream all’incontrario. Diretto dall’australiano Craig Gillespie, interpretato da Margot Robbie, anche lei australiana, scritto da un professionista di lungo corso ma finora di seconda fila, Steven Rogers, il film utilizza al meglio la storia vera, mettendo subito in chiaro il proprio punto di vista. Tonya viene cresciuta dalla madre cameriera, anaffettiva e cinica, che vuole fare di lei una campionessa. Il fatto è che lei è veramente un prodigio, ma senza quella classe che corrisponde all’immagine pubblica del pattinaggio su ghiaccio. L’atleta, che viene da una famiglia di redneck, non viene accettata perché non è un’immagine dell’America da poter vendere alle tv e all’estero. Eppure è proprio lei l’America vera, nella tenacia ma soprattutto nella disperazione, nello squallore. C’erano le premesse per una storia di sofferenze e riscatti, con lieto fine, magari alla Whiplash. Qui però la storia impone la sua verità, che regista e sceneggiatore sapientemente utilizzano per trasformarla in una contro-narrazione. Rispetto al filone neo-patriottico in chiave anti-Trump (compreso The Post) Tonya è dunque assai più disincantato. La protagonista è una vittima, una loser che non si può non amare, perché tutti sono peggiori di lei: la madre ovviamente (interpretata da Alison Janney, Oscar per la miglior attrice non protagonista), e il marito, ma in fondo anche il giornalista che racconta la storia, e gli ipocriti giudici di gara (per tacere di sicari e complici, perfetti idioti da film dei Coen). Lo stile, con racconti incrociati, sguardi in macchina, tappeto musicale rock, guarda a Scorsese ma fa tesoro del cinema e della televisione recente, senza picchi di originalità, al servizio di una storia esemplare. Notevoli comunque un paio di trovate di regia, di cui una nel finale, in cui la piroetta della pattinatrice viene legata a una caduta sul ring. Curioso infine come, in una storia di carne e sangue, si abbia sottotraccia un trionfo degli effetti digitali: che consentono di ricreare mimeticamente finti video d’epoca, e di incollare in maniera impercettibile, nelle esibizioni, il volto dell’attrice sul corpo di una vera pattinatrice..

Emiliano Morreale – La Repubblica

Non è il solito film sul campione sportivo. È molto meglio. Più avvincente del Borg-McEnroe: Björn Borg usciva senza i soldi per il caffè a Montecarlo e il barista non lo riconosceva. Più spassoso di La guerra dei sessi di Jonathan Dayton e Valerie Faris, già registi di Little Miss Sunshine: la battaglia di Billie Jean King per essere pagata come i tennisti maschi, contro il maturo Bobby Riggs che mandava in campo un maialino per screditarla. Non è tennis, per cominciare. Ma il meno nobile – vorranno scusarci i fanatici – pattinaggio artistico. Per mettere subito le carte in tavola, Graig Gillespie dice che il film si basa su interviste “totalmente vere, totalmente contraddittorie, prive di ironia”. Intende, prive di “autoironia”: ognuno si prende terribilmente sul serio – non solo lo sciocco che ha detto a tutti di lavorare per l’Fbi, e forse lui fermamente ci crede – e intanto le spara grossissime. L’ironia – venata di nero e di grottesco – viene dalla messa in scena: sguardi e discorsi in macchina, come un un finto documentario, alternate a scene realisticamente ricostruite.
Tonya è Tonya Harding, figlia dei bianchi poveri e buzzurri d’America, avviata al pattinaggio dalla ferocissima madre quando aveva quattro anni. Fu la prima a esibirsi in un triplo axel, la prima a insultare i giurati che non riconoscevano la sua bravura – le rivali erano pettinate e vestite come ballerinette, lei gareggiava spettinata e con i vestiti infiocchettati in casa. “Non esiste la verità, ognuno ha la sua e la vita va avanti lo stesso” è il suo motto. Utile quando l’accuseranno di aver azzoppato – o di aver tramato per far azzoppare – la rivale perfetta Nancy Kerrigan, alla vigilia dei Giochi olimpici di Lillehammer, 1994. I tripli axel sono ricostruiti al computer, la figura riesce a poche fuoriclasse. Al resto pensa la bravissima – e quasi irriconoscibile, se ricordiamo la sua eleganza in The Wolf of Wall Street – Margot Robbie. La mamma allenatrice è Allison Janney, premiata con l’Oscar come non protagonista. Il “cretino specializzato” (copyright Ennio Flaiano) che snocciola minacce “anonime” dal telefono di casa si chiama Paul Walter Hauser.

Mariarosa Mancuso – Il Foglio

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