(maggio)
giugno-luglio 2003

bimestrale di cinema, cultura e altro...

n° 6
Reg.1757 (PD 20/08/01)

 

 

   Si conclude Cannes e la nostra attenzione è ferma al Bergamo Film Meeting, riesplode la Matrix-mania e il nostro entusiasmo è ancora per La 25a ora... La cadenza di MC magazine fa da alibi, ma è anche vero che l’esibizione sulla Croisette è stata definita quest’anno "sottotono" e che l'esclusione dal palmares di von Trier  non ha certo contribuito all'immagine del Festival: all'uscita italiana di Dogville e Elephant (Gus Van Sant) cercheremo  di tornare sull'argomento... E vale la pena di estendere il black-out critico anche a Matrix Reloaded, visto che il nuovo film dei Wachowski non ha convinto neppure i fan più accaniti e che incombe, "risolutoria", la visione del conclusivo sequel-B!
Di rimando, a Bergamo, la retrospettiva Simenon (col solito prezioso catalogo del festival) si è proposta come uno stimolante vademecum per riscoprire un cinema di genere inebriato da un background letterario di raffinata complessità e lo splendido film di Spike Lee, da solo, fa "testo" per una fiduciosa ricomposizione di un'idea di cinema made in USA "adulto", scevro da ottusi nazionalismi e retoriche giovaniliste. A margine, tra le altre notizie cinematografiche, uno
sfizio sportivo (questo sì attualissimo) non poteva mancare!

   Brutta bestia il tifo calcistico. Ti imbatti in interisti rancorosi che sperano nella Juve per umiliare gli odiati cugini, ti capita di assistere alla finale spalla a spalla con impavidi "spiriti zebrati" e li scopri incancrenirsi in vane recriminazioni (ammonizioni trascurate, un movimento di troppo fatto da Dida) per tamponare la cocente delusione di aver visto la propria squadra perdere, più che la partita, il bandolo del proprio, tonico gioco.  "Da fuori", senza il pathos di una fede viscerale, ci si può intenerire nell'agognato appagamento di campioni come Ancelotti, Nesta e Rui Costa, emozionare per l'incontenibile propulsione di Gattuso, per la superba (anche se "inutile") prestazione di Buffon... Certo è che il Milan, pur con gli sprazzi di inizio stagione, non è la squadra dell'anno, ma centellinando energie e tattica ha saputo meritatamente far sua la coppa più ambita.

Nel cuore asettico di un non-tifoso ciò che resta comunque è l'impressione di una finale "amara", è l'indimenticabile ricordo dell'inebriante semifinale (Juve-Real) e delle lacrime  "premonitrici" di Pavel Nedved!
                    

e.l.

La 25a ora

Essere e avere

Il Bergamo Film Meeting, nel panorama delle manifestazioni cinematografiche italiane più di rilievo, è uno degli appuntamenti annuali più seguiti e di sempre crescente successo: circa sedicimila le presenze di quest’anno! Giunto alla sua ventunesima edizione, continua, nel tempo, la sua opera di scavo, di scoperta, di riproposta di talenti nuovi, dimenticati tra gli autori e/o di pellicole mai presentate in Italia. Molti gli eventi, dunque, le personali e, forse, più importanti le retrospettive: favolosa, semplicemente, quella di quest’anno, dedicata al centenario della nascita di Georges Simenon, giallista e scrittore belga, nato il 13 febbraio del 1903, basata su di un corpus di oltre 25 film trasposti dalle sue opere, alcuni dei quali addirittura inediti in Italia. Oltre quattrocento i romanzi da lui stilati insieme con alcune migliaia di racconti: davvero titanico il suo lavoro da cui il cinema spesso ha attinto in generale e, più specificamente, per una delle figure più ‘sacre’ che quasi si identificano con la storia stessa del cinema, quella del commissario Maigret, presente in celluloide fin dall’avvento del sonoro.
Ha ragione Angelo Signorelli, direttore con Emanuela Martini del Bergamo Film Meeting, quando, tra l’altro, nel pezzo introduttivo a
Georges Simenon…mon petit cinéma, la monografia dedicata all’Autore, afferma che “…C’è poca luce nei romanzi di Simenon, ma è diffusa una penombra spessa…Ci sono le atmosfere giuste perché l’incontro con il cinema sia inevitabile… Le trasposizioni cinematografiche dei suoi romanzi si sono sempre allontanate, chi più, chi meno, dagli originali, in particolare per ciò che si riferisce agli sviluppi narrativi ed alla definizione dei personaggi. Forse uno dei motivi di questo ‘tradimento’ ricorrente sta nel fatto che la maggior parte delle opere di Simenon è ‘troppo’ cinematografica, ha già in sé tanti elementi che appartengono alla struttura della costruzione filmica…”, un po’ quello che accade ai romanzi di Marguerite Duras, anch’essi nell’impianto (trionfo di sintesi), nelle frasi "fotografiche" (nette e spezzate), già racconto visivo, già film.
Non a caso fu lo stesso Simenon ad adattare (una ‘traduzione’ per evitare un primo ‘tradimento’?) per lo schermo – anche sceneggiatore, quindi, come lo fu la Duras stessa – il primo Maigret (primo anche come film in genere) dei quasi settanta tratti dai suoi testi, intitolato
La nuit du carrefour, diretto dal suo amico, il grande Jean Renoir, presente nella retrospettiva bergamasca.
Tanti, tantissimi i registi, i migliori della storia del cinema francese (e, comunque, internazionale) da Renoir in poi: doveroso citare Henry Decoin, Jean Delannoy, Marcel Carné, Pierre Granier-Deferre, Maurice Tourneur, Jean-Pierre Melville, Patrice Leconte, Bertrand Tavernier,
Claude Chabrol. Tanti anche gli interpreti da ricordare, Maigret e non, ma su tutti uno brilla in modo particolare, Jean Gabin, indelebile maschera simenoniana, dramatis personae più che unica, autentico alter ego al quale il ‘nostro’ Gino Cervi, pur grande, deve cedere lo scettro (e non solo) della primogenitura.
Commosso e puntiglioso il convegno conclusivo di Bergamo coordinato da Emanuela Martini: presenti Gianni Da Campo, amante e collezionista di tutto quanto "fa Simenon", e critici “storici” quali Goffredo Fofi e Claudio G.Fava: “...Fu naturale l’internazionalità in Simenon, (…) lui scrittore popolare un po’ alla Scerbanenco, per trovare un paragone italiano ’calzante’, che partì dal basso (la piccola provincia belga, i piccoli, meschini parenti che tanto bene seppe raccontare e sviscerare psicologicamente, adombrando, in tante sue opere, gli affetti di casa, i più stretti) per arrivare alla metropoli (Parigi) ed alle sue problematiche quotidiane,…”. Una ‘gavetta’ scrittoria notevole, seppur tormentata, anche e soprattutto a livello personale che, comunque, gli valse un successo ampiamente meritato a vari livelli, “segnando” il gusto e la sensibilità di autori e intellettuali. Come ha ribadito, tra il serio ed il faceto, lo stesso Fava “Simenon è fondamentale, ha formato anche… la mia vecchiaia!”.

Maria Cristina Nascosi

"Contagio" orientale

In questa stagione 2002/2003, in cui il cinema italiano è tornato a dominare le vette delle classifiche, sono non pochi i segni di un cambiamento importante nei gusti del pubblico. Le cinematografie orientali sono tra i protagonisti di questo cambiamento: negli ultimi anni, accanto a maestri riconosciuti a livello internazionale come Zhang Yimou, Wong Kar-Wai, e Takeshi Kitano, hanno cominciato ad affermarsi in Occidente nuove leve, piccoli autori di un cinema finanche popolare, in un certo senso, che si sono affacciati con successo su mercati che fino ad un decennio fa sembravano inespugnabili da un prodotto che non fosse nazional-popolare o a stelle e striscie.
Senza soffermarci sulla "diaspora hongkonghese" della metà degli anni '90 (quella che ha portato all'emigrazione ad Hollywood di John Woo prima, Kirk Wong, Ringo Lam, Tsui Hark
film successivo in archivio, Ronny Yu poi), possiamo dire che, nel giro di sette-otto anni, una certa concezione Occidentale di cinema ha subito influssi provenienti dall'Oriente. Oggi ogni film d'azione americano che si rispetti ha il suo coreografo orientale (Yuen Woo-Ping, che ha lavorato nella serie di Matrix, è diventato una specie di guru), mentre le cinematografie asiatiche in ascesa (sostanzialmente tre: sudcoreana, giapponese, tailandese, a cui si aggiunge quella hongkonghese, anche se molto ridimensionata rispetto anche solo a sei anni fa) riescono a conquistarsi un posto al sole nei festival maggiori e, cosa ben più importante, nei mercati occidentali. Francia, Spagna, e oggi anche Italia (gli USA meritano un discorso a parte: più che mostrare distribuendo, girano remake), accolgono con sempre maggior favore film come Shaolin Soccer (anche se tagliato di 25' dalla Miramax che ne ha comprato i diritti di distribuzione internazionale, e doppiato in Italia noi in maniera ignobile), che ha raggranellato oltre 250 mila spettatori sia da noi che oltralpe. Spesso si tratta di molti piccoli casi, che spesso non vanno al di là delle 10 copie (i coreani Ebbro di donne e di pittura e Oasis, il taiwanese Incrocio d'amore), ma ogni tanto film come Dolls di Kitano (novantamila spettatori) e La città incantata di Miyazaki (centocinquantamila spettatori) riescono a ritagliarsi un giusto spazio. Quest'ultimo in particolare, dopo il Premio Oscar e l'Orso d'oro Berlino, sta contribuendo ad aprire gli occhi su un altro "buco" occidentale, il cinema d'animazione, ancora sottovalutato e sminuito da pregiudizi e malintesi storici difficili da sradicare (pochi, ad esempio, ricordano che all'origine dello stesso Matrix c'è un film d'animazione giapponese largamente saccheggiato, Ghost in the Shell di Mamoru Oshii, mentre dietro al secondo si sentono fortissimi influssi di Metropolis di Rintaro). Sono inoltre da poco disponibili in edizione italiana i DVD di Ringu e Ringu 2 di Hideo Nakata, mentre da Hollywood arrivano notizie di nuovi remake di altri film dello stesso autore (il primo, per cui sono già stati ingaggiati Robert De Niro e Benicio del Toro, sarà Chaos di Jonathan Glazer, da Kaosu, 1999), sulla scia del successo del The Ring americano, che ha acceso l'interesse del pubblico (ma anche di molta critica) verso il cinema di genere giapponese (Kyoshi Kurosawa, in concorso all'ultimo Festival di Cannes e anch'egli prossimo protagonista di diversi rifacimenti, rimane invece ancora completamente sconosciuto in Italia).
Il segno più importante del cambiamento dei gusti del pubblico è recentissimo, e deve aver dato da pensare non poco agli addetti ai lavori: qualche settimana fa, mentre in tutto il mondo trionfava X-men 2 con cifre da capogiro, in Italia la Eagle Pictures faceva uscire in oltre 200 copie The Eye, dei fratelli Oxide e Danny Pang. Coproduzione tra Hong Kong, Tailandia e Singapore, ghost story raffinata anche se tutt'altro che innovativa, The Eye ha incassato un milione di euro nel suo primo week-end, conquistando la vetta della classifica nostrana (nella storia recente, è la prima volta che succede per un film non americano né europeo) con una media per sala decisamente alta (circa 4600 euro) per un periodo difficile come maggio. Il film dei Pang Bros non ha vinto premi come altri successi provenienti da Est (La tigre e il dragone contava su quattro Oscar, In the Mood for Love su due premi a Cannes), non è diretto da un autore noto, non ha nomea di film d'essai, ma è riuscito ad imporsi tranquillamente sulla concorrenza, sfruttando anche la voglia di brividi che ultimamente prende il pubblico italiano quando arriva l'estate.
Potrebbe essere il primo gradino di una nuova era, in cui il pubblico italiano potrà finalmente vedere quella parte di mondo che i media nascondono (salvo poi scoprirla per creare psicosi come quella recentemente scatenata dalla SARS), trovando anche un'alternativa a quel cinema americano standardizzato prodotto dai grandi studios che sembra arrivato ormai alla frutta. Sicuramente è ancora troppo presto per fare previsioni, anche se nei listini delle case di distribuzione fa capolino qualche titolo come The Sea Watches di Ken Kumai (da una sceneggiatura di Akira Kurosawa) e So Close di Corey Yuen. Ma è comunque lecito porsi la domanda: qualcosa è cambiato?

Pietro Liberati

 

in rete dal 6 giugno 2003


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