(speciale, numero triplo!)
luglio-dicembre 2004

bimestrale di cinema, cultura e altro...

n° 11
Reg.1757 (PD 20/08/01)

www.movieconnection.it/magazine

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Pesaro
I suoi primi quarant’anni...

 

Locarno
La forza del cinema,
l'avanguardia del video

È stato Bruno Torri (co-fondatore del festival nel 1965, con Lino Micciché) ad aprire i lavori della TAVOLA ROTONDA che ha celebrato le prime quaranta edizioni della Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro. “Questa Mostra – ha affermato – è nata con l’intento preciso di cercare il nuovo cinema, quello di sperimentazione, di ricerca, che affrontasse nuove aree contenutistiche o fosse in grado di coniugare valore estetico ed impegno sociale”. Il direttore in carica, Giovanni Spagnoletti e quelli delle precedenti edizioni Adriano Aprà e Andrea Martini (era assente, per ovvi motivi “veneziani” solo Marco Müller), i cineasti Lucien Pintilie, Gianni Amelio, Vittorio Taviani, Paolo Brunatto, Francesco Maselli, Vito Zagarrio (che, quest’anno, curava la retrospettiva dedicata ai fratelli Taviani), lo sceneggiatore Stefano Rulli, il critico Giorgio Tinazzi, l’editor della Marsilio edizioni, Gianni de Michelis, il sindaco di Pesaro, tutti non hanno potuto non essere presenti per ripercorrere tante tappe “fondamentali” nel panorama dei Festival italiani.
A Bruno Torri il compito di tracciare un resoconto della manifestazione dei primi anni, vera ‘stagione d’oro’, in cui la manifestazione riservata alle opere prime, portò alla luce registi come Glauber Rocha, Jean-Marie Straub, lo stesso Pintilie, la Nova Ulna cecoslovacca, Philippe Garrel, Silvano Agosti… Un iter proseguito con il '68, l’anno della contestazione da parte di 300 studenti, con cui prevalse la linea del dialogo. Dopo il 1970 il Festival ampliò i suoi confini, connotandosi come una mostra di studio, con ampie retrospettive – bastino due per tutte, quelle dedicate a Nagisa Oshima e ad Alexander Kluge – la nascita dell'evento speciale dedicato al cinema italiano, i sempre stimolanti convegni di approfondimento… il tutto affiancato da una documentazione più mai ricca ed esaustiva: i caratteristici suoi noti libri verdi pubblicati dalla Marsilio.
Quarant’anni molto ben portati, dunque; testimoni e forieri, al contempo, del nuovo che avanza a livello cinematografico e non solo. Un’eredità che, nelle commosse parole di tutti i testimoni presenti, moltissimo deve al lavoro, alla metodologia, alla forma mentis di Lino Micciché, scomparso durante i giorni stessi di Pesaro. Ma, per dirla ancora con le parole di Torri, “…Lino rimarrà per sempre il cuore pulsante e ben vivo della Mostra di Pesaro”.


Nel programma, tra film ed eventi, grandi e piccoli, meritano una segnalazione la retrospettiva completa di ARNAUD DESPLECHIN () e il video Danilo Dolci, memoria e utopia, del giovane siciliano Alberto Castiglione, esordiente lo scorso anno a Venezia col mediometraggio Picciridda. Qui rievoca la figura di Dolci, sociologo triestino morto nel 1997, concentrandosi su vent’anni della sua attività siciliana (1952- 1972) dedita al riscatto culturale, sociale e morale dell’isola e dei suoi abitanti. Tra interviste, immagini di repertorio, testimonianze eccellenti, emerge la figura a tutto tondo di questo uomo dal carattere non certo facile, ma di grande correttezza, che seppe tenersi lontano dai giochi politici, ma che lasciò un segno incisivo (lo definirono il “sovversivo mite”). E particolarmente vitale appare, dal contesto documentaristico, il suo rapporto interattivo con i giovani che, nel 1970, lo portò a fondare una radio libera ed a collaborare spesso con Peppino Impastato, il protagonista de I cento passi.
Se il vincitore della sezione competitiva della Mostra è stato Mur, della regista franco-israeliana Simone Bitton (un altro muro da raccontare, quello, voluto nel 2002 da Sharon che, una volta ultimato, raggiungerà i seicento chilometri di lunghezza!) non possiamo non sbilanciarci a favore dello splendido film di Tom McCarthy, The Station Agent, vera rivelazione della scorsa stagione cinematografica negli U.S.A., vincitore di tre Sundance Awards e tre Independent Spirit Awards. Girato in poco meno di tre settimane, con un budget risibile, in una zona rurale del New Jersey, il testo è una delicata e sensibile piéce, che con arguzia, humour e dosato scavo psicologico (perfetta l’interpretazione dei protagonisti, Peter Dinklage, Bobby Cannavale e Patricia Clarkson), narra dell’incontro di tre diverse solitudini, due maschili ed una femminile, sullo sfondo di una stazione ferroviaria abbandonata, di una casa piena di dolci e tristi ricordi.

Maria Cristina Nascosi

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È grazie alla sapiente mano di Marco Muller (ora al timone della mostra di Venezia) se quello di Locarno è diventato, nei dieci anni in cui è stato direttore (1991-2000), uno dei principali festival del cinema assieme a Cannes, Venezia e Berlino. Da tre anni, il curatore artistico è Irene Bignardi e per questa 57ª edizione lo spirito non è stato tradito: sguardi lontani dalle megaproduzioni americane e, inutile a dirsi, sconosciuti e invisibili, ma anche di ricerca, d’attualità e d’autore. Una fitta programmazione divisa in dieci sezioni (e in più la Retrospettiva e la Settimana della Critica), con un occhio di riguardo per quel formato, il video, spesso troppo trascurato e fonte inestinguibile di pregevoli novità, mezzo unico e, ormai prediletto, per quegli sconfinamenti di genere che spesso la pellicola non permette. Di fatto, lo spazio concesso al video e al documentario, è un’efficace soluzione che permette a Locarno di non venire schiacciato dall’egemonia di Cannes e Venezia.
Nel marasma di titoli che si presentano al cinephile, pochi comunque risaltano davvero e, a conti fatti, la
RETROSPETTIVA NEWSFRONT (dal film omonimo di Phllip Noyce del 1978), dedicata al rapporto tra cinema e giornalismo, si dimostra la sezione più omogenea e organizzata, con pellicole del cinema muto come The Cameraman di Buster Keaton (1928), L’affaire Dreyfus di Méliès (1899) e Fantomas di Loui Feuillade (1914) fino ad arrivare a La conversazione di Francis Ford Coppola (1974), Alice nelle città di Wim Wender (1973) e all’Antonioni di Blow Up (1966). Numerosissimi i titoli (quasi tutte copie restaurate) tra  cui alcuni  curiosi inediti  come una serie  di mediometraggi in beta di Tsai Ming-liang.

All’interno della sezione HUMAN RIGHT PROGRAM è stato presentato Notre Musique, l’ultima fatica di Jean-Luc Godard. Un lavoro teorico al limite del documentario dove le immagini e la musica, ancora prima delle parole, raccontano, scuotono, minano il nostro sguardo in un complesso circolo di violenza dell’uomo sull’uomo. Una riflessione sull’opera stessa nel suo prodursi, sulla deriva del presente, con dialoghi ridotti per lo più ad aforismi o citazioni, da Montesquieu a Euripide. Il prologo è disarmante: flash di luce, immagini di guerra, di vecchi film, di reportage, montate in un crescendo frenetico accompagnato da un piano palpitante. La sensazione è di un’imminente esplosione, che non avverrà…


A chiusura una considerazione “logistica”. La cornice di Locarno è molto allettante esteticamente e le visioni in piazza grande sono uniche nel genere. Peccato per il costante maltempo del quale il festival è vittima ogni anno. Per chi non ama godersi i film sotto la pioggia munito di mantelline trasparenti (in vendita ormai dovunque) rimangono le sale fuori dal centro: palestre e auditorium di un complesso di istituti e licei, adibiti allo scopo con sedie in plastica. Tutto sommato non molto confortevole. In più l’italiano, nonostante sia la lingua ufficiale, non viene preso in considerazione nei sottotitoli e per chi non ha dimestichezza con le lingue… Certo, raramente capita di trovare una città completamente dedita alla venerazione di un simbolo – il leopardo – che in ogni angolo (farmacie comprese…) mostra la sua zampa e il suo manto maculato. Una passione davvero invidiabile alla quale è difficile non affezionarsi almeno un po’.

Alessandro Tognolo

vincitore Mur di Simone Bitton

 

vincitore  Private di Saverio Costanzo