(speciale, numero triplo!)
luglio-dicembre 2004

bimestrale di cinema, cultura e altro...

n° 11
Reg.1757 (PD 20/08/01)

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L'Oriente colpisce ancora

    Circa un anno e mezzo fa riflettevamo sullo storico risultato al botteghino italiano di The Eye, il film dei fratelli Pang che, uscito a metà maggio del 2003 (distribuzione Eagle), era riuscito a conquistare la vetta della nostra classifica. Era la prima volta da tempo immemore che un film orientale non otteneva un simile risultato, e da allora, le società di distribuzione hanno cambiato sensibilmente politica: oggi non è più raro vedere sui nostri schermi cinema di genere proveniente da Est, per la maggior parte film coreani (in ordine decrescente di successo, Phone, Two Sisters, Tube e compagnia).
Ma oggi le cose sono di nuovo cambiate. Se
The Eye si confrontava con una concorrenza tutto sommato poco competitiva, ad ottobre, proprio all’inizio del periodo di punta, di massimo afflusso nei cinema italiani, è uscito, su oltre 300 schermi (altro record), Hero di Zhang Yimou, per giunta datato 2002, sedendosi nuovamente sul trono della classifica, spodestando un cinema americano multimilionario e raccogliendo una cifra che si aggira sui trecentomila spettatori, per circa 1,7 milioni di euro. Un risultato che ha dello straordinario, specie per un wuxiapian (film di cappa e spada), genere che da noi fa fatica ad arrivare. E’ vero, bisogna considerare il battage pubblicitario che ha accoppiato ad Hero il nome di Quentin Tarantino (“Quentin Tarantino presenta”: l’etichetta ambigua, senza la quale il film sarebbe uscito tagliato di venti minuti, è stata messa dai fratelloni Weinstein della Miramax per l’uscita americana, a cui è seguito peraltro uno straordinario successo, oltre 50 milioni di dollari), ma va sottolineato che il suo weekend d’apertura è stato superiore addirittura ad entrambi quelli dei volumi di Kill Bill. Questo risultato è solo la punta di un iceberg, che segnala la penetrazione ormai inarrestabile del cinema orientale in Occidente, in Europa, nel nostro Paese. E non si tratta di un fenomeno che riguardi esclusivamente il cinema di genere (cosa che sarebbe di per se una novità in un mercato sfiduciato verso dei tratti somatici non wasp):  nel giugno scorso, per la prima volta in Italia, ha avuto regolare distribuzione un film del grande cineasta coreano Kim Ki-Duk, Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera. Il film di Kim ha raggranellato circa centomila spettatori ed è comparso ancora nella classifica dei più visti della settimana per alcuni mesi. Certo, Primavera... corrisponde ad un certo stereotipo del cinema orientale, un po’ alla Perché Bhodi Dharma è partito per l’Oriente?: tempi lunghi, silenzi, argomento vagamente religioso... ma sono tutti aspetti che comunque il film si lascia indietro, per arrivare ad un’essenzialità ben superiore alla somma delle singole parti. Insomma, il film ha a suo modo aperto una strada, così come ha saputo fare, come autore, lo stesso Kim Ki-Duk, che nel giro di pochi mesi ha vinto 2 premi per la regia con due film diversi in due dei maggiori festival europei: gli splendidi Samaria (Berlino 2004) e Binjip-3iron (Venezia 2004). Entrambi i film sono stati acquistati per una distribuzione italiana e la recente ottima uscita di Ferro 3 consola solo in parte per il destino non sempre luminoso che accompagna certi premi veneziani (Oasis di Lee Chang-Dong, che nel 2002 a Venezia vinse lo stesso riconoscimento, ebbe nelle sale italiane solo una fugace apparizione).
Come se non bastassero i premi di Berlino e Venezia, anche Cannes 2004 ha visto il trionfo di un film coreano: Si tratta di
Oldboy di Park Chan-Wook, un cineasta tra i maggiori del suo Paese, autore di un capolavoro visto in Italia solo sulle pay-tv (Sympathy for Mr. Vengeance), e di un grande mystery-thriller ancora inedito da noi, JSA-Joint Security Area. Il cinema di Park, anch’esso in arrivo sui nostri schermi, si conquisterà sicuramente una sua nicchia di pubblico, e non è da escludere che la campagna pubblicitaria faccia leva un’altra volta su Quentin Tarantino, che ha spinto per la sua premiazione come presidente di giuria. D'altronde anche il resto del mondo si sta accorgendo del cinema coreano: in USA il superkolossal di guerra Tae guk gi ha raggiunto il milione di dollari di incasso!
E per quanto riguarda gli altri paesi asiatici? Da poco è arrivata sui nostri schermi l’ultima opera di un maestro della nouvelle vague di Hong Kong, Wong Kar Wai, 2046, che, in una sessantina di copie ha totalizzato al suo esordio duecentomila euro, e si può apprezzare la sua
Mano nel film collettivo Eros, di cui Wong firma l’episodio più convincente. Ma è soprattutto il mercato dell’home video a scoprire (anzi, riscoprire) l’ex colonia britannica, con le edizioni in DVD di trilogie, come quelle di A Better Tomorrow e A Chinese Ghost Story, prima reperibili solo in maniera incompleta, e di filmografie prima lacunose, come quella di John Woo (a partire dal 1986) con titoli come Once a Thief e soprattutto Bullet in the head, capolavoro assoluto del regista. Anche se  si tratta di edizioni non prive di pecche (e di extra), è già un passo avanti dai tempi della completa impossibilità di accostarsi a tali cinematografie.
La notizia davvero sensazionale è arrivata però da pochissimo: nei primi mesi del 2005 l’etichetta Quinto Piano editerà in DVD trentotto perle tratte dagli archivi degli Shaw Brothers, i produttori che hanno contribuito a fondare il cinema moderno di Hong Kong. Sarà finalmente l'occasione per vedere con cognizione di causa gli albori di una cinematografia che per decenni è stata tra le più interessanti e innovative al mondo (partendo dai titoli capitali di King Hu e Zhang Che!).
Segnaliamo ancora come qualche minuscolo cenno lo stia dando anche il cinema thailandese, che dopo qualche timidissima uscita (
Le lacrime della tigre nera di Wisit Sasanatieng, Love song di Pen-ek Ratanaruang) ha visto discreti risultati al botteghino con l’uscita estiva di Ong bak. Ma siamo ancora in attesa di vedere, ad esempio, il bel Last Life in the Universe, ancora di Pen-ek Ratanaruang (presentato a Venezia '60 e più volte rinviato) che, fra l’altro, ha tra i suoi protagonisti l’attore giapponese più interessante degli ultimi anni, Tadanobu Asano.
Dal Giappone, infine, tutto tace, se si eccettua l’interesse, ormai cult,  per il solito Kitano (Zatoichi). Basti pensare all’uscita “fantasma” di
A Snake of June di Shinya Tsukamoto... L'attesa è per gli straordinari film d’animazione presentati all'ultimo festival di Venezia (di Miyazaki e Otomo) e chissà che qualcuno si decida a fare arrivare sui nostri schermi qualche altro titolo della sterminata filmografia di Takashi Miike (oltre a The Call, unica uscita italiana tra sessanta e passa titoli!) o di autori misconosciuti come Kiyoshi Kurosawa e Hirokazu Kore-eda.
Ci sarà pur qualche effetto positivo in questa chiacchieratissima globalizzazione?

Pietro Liberati