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giugno 2009

trimestrale di cinema, cultura e altro... ©

n° 26
Reg.1757 (PD 20/08/01)

pag. 5

 

  Alla fine il “Primo premio Bergamo Film Meeting” (sparita purtroppo la rosa camuna tri-metallica per omonimia con un altro premio) se l’è aggiudicato Cordero de Dios (Agnello di Dio) dell’argentina Lucia Cedron, in grado di costruire un film interessante ed intenso attorno ad un doppio filo narrativo che, tra il 1978 e il 2002, permette di rivivere i drammi che hanno attraversato la storia della grande nazione latinoamericana (la sanguinosa dittatura militare nei ’70, la tremenda crisi economica ai nostri giorni) e riesce a far vibrare le corde emozionali del pubblico.
Al secondo posto
Planet Carlos di Andreas Kannegiesser, di regia e produzione tedesche ma girato in Nicaragua con attori locali. Il film ha una vena social-patetica che ne mina la spontaneità. Spontaneo e piacevole è invece il siparietto che la sceneggiatrice Catrin Lüth, dopo aver ritirato il premio, ha messo in atto, telefonando al regista (assente) e lasciando che fosse il boato del pubblico presente a comunicargli di aver ricevuto un premio.
Il nostro favorito era comunque
Welstadt (Metropoli) di Christian Klandt, con lo struggente senso di nulla ed apatia che attraversa tutto il film, con prove d’attore straordinarie da parte dei cinque protagonisti.

Si è piazzato al terzo posto, ex aequo con Cealalta Irina (L’altra Irina) di Andrei Gruzsnickzi, in cui il tema del doppio si sviluppa in una chiave originale sotto la curata regia dell’esordiente polacco (il film era alla sua prima proiezione in pubblico).
Come sempre altissimo il livello delle retrospettive, quest’anno dedicate
a
Carol Reed e Bette Davis.
Diciannove i titoli del regista inglese, da
It Happened in Paris (1935) a The Running Man (1963), passando per titoli quali Il nostro agente all'Avana (1960) e Il terzo uomo (1949), capolavoro del noir ricco di colpi di scena e rivelazioni inaspettate, sino all’indimenticabile e celeberrimo inseguimento finale con Joseph Cotten sulle tracce dell'amico-nemico Orson Welles.
Altrettanto splendido è
E le stelle stanno a guardare (The Stars Look Down, 1940), dove una storia di miseria e abnegazione riesce a dare emozioni degne di un thriller, con un frenetico susseguirsi di eventi ma anche un’attenzione profondissima per la psicologia dei personaggi resi vividi da attori intensi (Michael Redgrave su tutti, nella parte del giovane intellettuale costretto a rinunciare ai suoi sogni di riscatto sociale per una moglie sciocca e avida).

I film con Bette Davis (e spesso pesantemente influenzati dalle sue scelte di “diva”) sono di tutt’altro genere, più romantici e meno tragici (anche se non mancano i momenti tristi, come nello struggente finale di Dark Victory, 1939, notevole anche per il doppio ruolo da gemella di sé stessa) ma nient’affatto poco intensi: lo sguardo magnetico della Davis conferisce a tutte le pellicole un’intensità che la sceneggiatura da sola non basterebbe a spiegare. Provoca una sensazione dolorosa il vedere la diva, bellissima ed affascinante, ridotta al ruolo di madre casalinga preoccupata di pagare un super matrimonio alla figlia (Pranzo di nozze, 1956) o addirittura a mendicante travestita da dama (in Angeli con la pistola, 1961). Ma anche se la bellezza e la civetteria sono scomparse, rimane la grandissima attrice, capace di dare a entrambi i personaggi un realismo concreto che non è scalfito dalle situazioni comiche e quasi paradossali che vengono a crearsi.
In definitiva un festival di buonissimo livello, una rassegna che migliora i (già alti) standard delle edizioni precedenti e che rilancia ancora il
BFM come luogo principe di una sinergia tra la cinefilia d’essai, i pezzi da cineteca (grazie in particolare al British Film Institute) e un’attenzione impareggiabile ad attori emergenti europei.

Giocomo Leoni - Anna Santucci