agosto 2018

periodico di cinema, cultura e altro... ©
 

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Reg.1757 (PD 20/08/01)

 

FESTIVAL DI CANNES

8 - 19 maggio 2018

  Se, come si è detto, Berlino piange, Parigi (cioè Cannes, cioè l’industria cinematografica francese) non ride. E finge di non vedere, forse per paura di affrontarla, la nube nera chiamata Netflix che si addensa minacciosa sul futuro della rassegna e del circuito festivaliero in generale.



Atteggiamento, quello della proibizione assoluta di partecipazione ai film non destinati alla visione in sala, che oltre ad essere in contrasto con la scelta di altri importanti concorsi (vedi Venezia, dove la presenza di Netflix, Amazon e altri sarà invece massiccia), non si capisce come possa essere mantenuto in un futuro già prossimo, stante la previsione che nel giro di pochi anni la metà dei titoli sul mercato sarà finanziata dai network. Nel frattempo, la direzione di Henry Frémaux si è premurata (siamo nell’anno di #Metoo) di allestire, sia per il
Concorso sia per Un certain regard, due giurie (la prima capitanata da Kate Blanchett) a maggioranza femminile. E, a corredo:

  • ad ogni accreditato ha trovato nella consueta borsa omaggio un funereo cartoncino in bianco e nero intitolato “comportement correct exige“ che invitava ad astenersi da qualsiasi tipo di assalto o di maleducazione sessuale proponendo un numero di telefono da usarsi in caso di emergenza

  • è stato imposto come il divieto assoluto di selfie sul red carpet

  • e, per evitare il diffondersi anzitempo di opinioni illazioni sui social, le proiezioni stampa sono state spostate a seguire le prime ufficiali...

Un guazzabuglio di direttive "moraleggianti" davvero spiazzanti! Ed il Palmares, in fondo, non lo è stato da meno.
Sempre in clima #Metoo si era parlato della Palma ad una regista donna (l’ultima - e unica - a riceverla era stata Jane Champion per The Piano, ben 25 anni fa) e c’era anche una candidata favorita, Nadine Labaki con il suo Capharneum (film sulla guerra in Libano rivelatosi poi artificiale e divisivo) ma la Palma d'oro è andata a Shoplifters, capace di mettere tutti d’accordo con la sua presunta umanità e la indubbia maestria del giapponese Hirokazu Kore'eda. Eppure la scelta giusta era "facile": Cold War del polacco Pawel Pawlikowski (quello di Ida - Oscar per il miglior film straniero nel 2105) che ha dovuto invece accontentarsi del Prix de la mise en scene.
E gli altri premi principali? Il
Grand Prix e il Prix du Juri, sono sembrati rispondere a motivazioni squisitamente socio-politiche (il solito vizio di premiare l’impegno più che il risultato) e sono andati rispettivamente a Blankkklansmen di Spike Lee e al già citato Capharneum. Il primo un pamphlet esplicito (fin dal titolo) contro la deriva razzista della destra americana e il suo campione in carica Donald Trump; il secondo un ritratto strappalacrime di un bambino che nel l’inferno di Beirut concepisce l‘idea di portare i genitori in tribunale con l’accusa di averlo concepito!

Citazione d'obbligo per gli attesissimi Farhadi (Todos lo saben, film d’apertura) e Panahi, entrambi però deludenti. Ma mentre l’improbabile noir del due volte premio Oscar è stato giustamente ignorato dalla giuria, il mediocre (per noi) Three Faces di Panahi ha "rubato" mezza palma al Lazzaro felice di Alice Rohrwacher, accumunati ex-aequo per la miglior sceneggiatura.
Il premio è il secondo (giusto) tassello/riconoscimento alla partecipazione italiana e si affianca alla
Palma per la miglior interpretazione maschile a Marcello Fonte per Dogman: davvero strameritata (e non da meno quella del suo deuteragonista, Edoardo Pesce), punto di forza evidente di un film che nella sua struttura avrebbe meritato ben di più. Nel nostro personale verdetto uno scambio Garrone-Spike Lee ci sarebbe proprio stato bene!

Giovanni Martini

 
 
FUTURE FILM FESTIVAL DI BOLOGNA

29 maggio - 3 giugno 2018

Ha toccato quota 20 quest'anno il Future Film Festival: 4 lustri per un’edizione caratterizzata da un significativo aumento di un pubblico (anche giovane) già da tempo affezionato che ha seguìto ancora una volta, con evidente interesse, il ricco programma.
Davvero imperdibile
Un homme est mort (Olivier Cossu, Francia, 2017), un film che fa riferimento ad un episodio tragico della storia del Dopoguerra francese, la morte dell’operaio Édouard Mazé, ucciso il 17 aprile 1950 durante una manifestazione. Tratto dall’omonimo fumetto di Étienne Davodeau e Kris, racconta anche della vita quotidiana di una città in ricostruzione: uno dei punti chiave è l’atmosfera che ne emerge, precaria, fatiscente, arricchita da una azzeccatissima colonna sonora. Per un’ora lo spettatore è immerso in un periodo oscuro della storia di Brest, ancor oggi importante porto della costa nord occidentale della Francia, un periodo di rovine, in cui la vita è troppo costosa e gli operai scioperano e chiedono “pane, pace e libertà”. Il film - piacerebbe a Ken Loach - è un raro esempio, vista anche la tecnica usata, di storia, di socio-cronaca: un plot impegnato sul mondo del lavoro e degli uomini.

Da ricordare anche una spiazzante opera prima francese, Les garçons sauvages di Bertrand Mandico, regista di corti sperimentali. Si presenta come una fiaba nel più cupo stile noir, in grado di evocare 'classici' come The Lord of the Flies (1963, Peter Brook) o La morte corre sul fiume (altro vero capo d'opera del 1955 diretto da Charles Laughton). Curiosamente il film, che ha vinto numerosi premi internazionali (anche alla Settimana della Critica - Venezia 2017 - per il Miglior Contributo Tecnico), non ha ancora una distribuzione italiana.

La giuria, composta da  Giorgio Tonelli (giornalista) - Luca Genovese (fumettista) - Filippo Porcelli (scrittore e regista) si è così espressa:

Platinum Grand Prize
Window Horses: The Poetic Persian Ephifany of Rosie Ming (Canada, 2017), di Ann Marie Fleming “per la ricchezza emotiva raccontata con un segno grafico ricercato e sintetico che ti accompagna in un viaggio di scoperta e di crescita inaspettato”. Ann Marie Fleming, nata in Giappone, di origini cinese/australiana, vive in Canada; è emersa dalla scena artistica della West Coast negli anni Ottanta. Il suo lavoro (ampiamente finanziato da un crowdfunding attraverso Indiegogo e prodotto dal National Film Board of Canada) è un film magico che riflette sul dovere di abbattere tutte le barriere culturali e generazionali. La protagonista è Rosie Ming, una giovane poetessa canadese di origini cinesi, che viene invitata a un festival di Poesia in Iran. Lì giunta, per la prima volta lontana dai suoi nonni iperprotettivi, conosce altri poeti che la costringono a fare i conti con le sue origini e la sua storia.
Menzione speciale
La Casa Lobo (The Wolf House), di León e Cociña (Cile, 2018) “per la ricerca espressivo – narrativa, che coniuga la necessità autoriale con l’impasto visivo”. Ispirato alla storia vera della setta di origine tedesca chiamata Colonia Dignidad responsabile di atroci violenze, in complicità con la dittatura di Pinochet, The Wolf House è un grande film, inquietante e caotico, animato in stop-motion, capace di dare forma allo spettro mai sopito della dittatura.


Maria Cristina Nascosi Sandri

 
 
BIOGRAFILM FESTIVAL DI BOLOGNA

1 - 24 giugno 2018

Quattordicesima edizione a Bologna del Biografilm Festival–International Celebration of Lives, un evento sempre in crescita, sempre più interessante, seguito dai media nazionali ed ormai assurto a fama oltreconfine. Un successo dovuto probabilmente alla sua unicità nell'essere dedicato alle “storie di vita”, nelle loro forme più varie, tra docu-fiction, reality e ordinary people: gente comune e persone straordinarie; frutto di sinergie e collaborazioni di livello nazionale ed internazionale.


Così da Cannes (Fuori Concorso) è arrivato
Libre del francese Michel Toesca: testo non semplice, dolorosamente ma chiaramente attuale, rivolto al dramma dei migranti al confine tra la Francia e l’Italia.
E dalla Berlinale 2018 ecco poi l’Orso d’Oro,
Touch me not, di Adina Pintilie, una giovane regista e sceneggiatrice rumena attiva ormai da quindici anni: il suo modo di ‘fare cinema’ – fatto di scavo interiore e di introspezione psicologica anche molto intima – è stato analizzato a fondo grazie ad una piccola retrospettiva che Biografilm Fest le ha voluto riservare quest’anno.
 

È stata invece un'anteprima mondiale il Renzo Piano, di Carlos Saura.
Il lavoro rappresenta l’incontro tra due grandi artisti, che si confrontano grazie a due diversi ‘linguaggi visivi’, un cineasta (“storico” regista spagnolo - ci piace ricordare qui il sodalizio col ballerino Antonio Gades per la mitica Trilogia del Flamenco) ed un architetto di fama, autore ormai mondiale: classe 1937, fin dalla co-creazione e realizzazione, ai primi anni Settanta, con Richard Rogers, del Centro Georges Pompidou, il Beaubourg.


Ma, come sempre, il cine-sguardo d’onore del Biografilm Festival era dedicato a pellicole rivolte, a vario titolo, alle
Signore dell’Arte. E tra queste
piace ricordare Jane Fonda In Five Acts, della statunitense Susan Lacy, 'nato' quest'anno, Evento speciale che ha aperto la kermesse bolognese. Ragazza della 'porta accanto', sex symbol, attivista, tycoon del fitness e molto altro: l’attrice premio Oscar Jane Fonda - figlia di un attore immenso, Henry (molto 'amato' da Hitchcock) e sorella di Peter, pure attore di fama ed impegno - ha vissuto una vita segnata da controversie, tragedie e cambiamenti. Il film è uno sguardo introspettivo sul suo unico percorso di vita, insomma Jane nella sua essenza: magnetica, coraggiosa eppure vulnerabile. Con interviste – tra gli altri – a Robert Redford, Lily Tomlin, alla produttrice Paula Weinstein e agli ex-mariti Tom Hayden e Ted Turner, i primi quattro atti della vita di Jane Fonda, per par condicio, sono scanditi dai nomi dei quattro uomini che hanno condiviso e influenzato le sue ambizioni personali e professionali. Il quinto atto invece è intitolato a lei stessa, chiamata a confrontarsi con i suoi dèmoni, riunirsi alla sua famiglia e rimettere in piedi una carriera di successo, sia come attivista che come attrice.
Memorabile, infatti, la sua presenza all'ultima Mostra di Venezia, per Our Souls, at Night - Le nostre anime, di notte, un film sulla terza/quarta età, interpretato da lei insieme con l'altra icona al maschile Robert Redford, entrambi Leoni d'Oro alla carriera, ritrovatisi per l'occasione (un film purtroppo mai arrivato nelle sale e “segregato”nel circuito televisivo - Netflix)

Maria Cristina Nascosi Sandri

 
 

in rete dal 27 agosto 2018

 

 

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