Gli abbracci spezzati (Los Abrazos Rotos)
Pedro Almodóvar - Spagna 2009 - 2h 9'

 Gli abbracci spezzati è una disperata riflessione sul cinema, sulle responsabilità di chi lo fa e, per estensione, su quello che l'occhio umano può e vuole vedere. Disperata perché, nonostante il piacere che spesso le storie possono offrire, e che l'ultimo film (nel film) diretto da Mateo Blanco cercava di trasmettere al pubblico (ne vediamo alcune scene, che non a caso «citano» Donne sull'orlo di una crisi di nervi), proprio quel piacere può essere causa di dolore. Oppure, può costare molto dolore a un regista per portarlo a termine. Da un pò di tempo a questa parte Almodóvarfilm successivo in archivio sembra aver messo da parte il piacere di raccontare storie immaginifiche e colorate per addentrarsi in una riflessione sul proprio mestiere (Il fiore del mio segreto, La mala educación) oppure sul materiale dei suoi sogni, a cominciare dal melò hollywoodiano (Tutto su mia madre, Volver) che con Los abrazos rotos tocca il suo culmine, per interrogarsi su cosa davvero possono dire le immagini. Come quelle girate da Mateo Blanco e che possono essere manipolate da un produttore ostile o quelle senza sonoro che il giovane Ernesto gira sul set per spiare i comportamenti dell'amante del padre e che hanno bisogno di qualcuno che sappia leggere sulle labbra per poter diventare davvero «parlanti». Anche se è curioso, che in questo film generoso e complesso, il regista spagnolo abbia così tanto bisogno di rivolgersi alla parola (è forse uno dei suoi film più dialogati) per spiegare allo spettatore il senso delle immagini.

Paolo Mereghetti - Il Corriere della Sera

 [...] La storia appassionata e fiammeggiante s'intreccia in filigrana con l'altra grande storia di Almodóvar, la propria vita di cinema. Il cinema è sempre presente: nei personaggi, nella lavorazione del film, nelle riprese di vita quotidiana, nella lettrice di parole sulle labbra (il doppiaggio), nelle immagini di Ingrid Bergman e George Sanders in Viaggio in Italia di Rossellini, nelle inquadrature di strumenti obsoleti per la lavorazione cinematografica. Specialmente nello stile de Gli abbracci spezzati, che ne fa un perfetto thriller hollywoodiano degli Anni 40-50, sul genere di Gilda o simili, molto ben fatto e bello. Almodóvar sembra aver perduto con il tempo il suo speciale sarcasmo e persino il grottesco. Questo film non somiglia affatto ai primi film farseschi che lo hanno reso tanto amato e popolare in Europa. È invece tenero, dolce: l'ironia si esercita sul genere, non sulle emozioni dei personaggi, e il cambiamento non rende il film meno amorevole.

Lietta Tornabuoni - La Stampa

  Prendiamola da lontano: secondo noi i due film perfetti di Pedro Almodovar sono Donne sull'orlo di una crisi di nervi e Tutto su mia madre. Il suo capolavoro, però, è Volver. Ci spieghiamo. Donne è la mirabile sintesi del primo Almodovar, quello chiassoso e variopinto degli esordi: il film in cui le stravaganze sessuali ed esistenziali della movida post-franchista confluivano in una perfetta struttura da commedia sofisticata. Tutto su mia madre è il Pedro maturo, che trasforma le follie del passato in una potente cognizione del dolore. Volver è il gioiello che tiene insieme queste due anime, raccontando – ed è forse la prima volta – personaggi che non hanno più nulla di stravagante ed esotico, ma affondano le proprie radici nella Spagna profonda.
Pedro Almodovar è ovviamente un magnifico regista, ma è soprattutto uno straordinario sceneggiatore. Le sue narrazioni multi-strato sono degne di Cervantes, o del Potocki del
Manoscritto trovato a Saragozza.
Gli abbracci spezzati è un film in cui l'Almodovar sceneggiatore mette un po' in ombra l'Almodovar regista – e chissà quanto è simbolico, e consapevole, il fatto che il protagonista sia un regista divenuto cieco e quindi costretto a scrivere copioni! Almodovar ama usare cinema e teatro, nelle sue storie, per dare un secondo livello di lettura, quasi una doppia vita, ai personaggi. In Gli abbracci spezzati questo secondo livello oscura il primo, impedendo ai personaggi di avere la sfrenata, ironica, tragica vitalità delle sue opere migliori. Insomma, ci siamo capiti: questo è un Almodovar «medio», ma sarà bene chiarire che un Almodovar medio è infinitamente migliore di quasi tutti i film attualmente in circolazione nelle sale...

Alberto Crespi - L'Unità

[...] Un gioco di specchi vertiginoso e molto almodovariano che non aggiunge molto alla foresta del cinema sul cinema, ma conferma in tutta la sua forza l'arte di Almodóvar. Nessuno sa cogliere come lui l'urgenza del desiderio (vedi la bella scena iniziale in cui il maturo Mateo Blanco/Harry Caine, diventato cieco, seduce la bella sconosciuta che lo ha accompagnato a casa). E nessuno, se non Almodóvar, potrebbe ribaltare la trovata del tradimento scoperto grazie al labiale in una scena in cui la Cruz, smascherata, "doppia" se stessa in diretta infliggendo un'umiliazione definitiva al suo attempato amante.
Il problema, perché c'è un problema, è che tutto questo stenta a trasformarsi in personaggi solidi e coinvolgenti. Ma proprio l'invadenza di una trama così minuziosa e estenuante genera momenti di cinema che irritano e insieme incantano per inventiva e leggerezza. Non perdoneremo a Almodóvar le troppe citazioni o la disinvoltura con cui butta via in due battute un soggetto come quello del figlio Down di Arthur Miller. Ma non dimenticheremo facilmente le mille parrucche della Cruz, la scena in cui amoreggia sotto le lenzuola con un partner invisibile, la sconosciuta che rivestendosi dopo aver fatto l'amore pesta sbadatamente il piede del cieco con lo stivaletto. Come un mago in crisi, Almodovar passa in rassegna trucchi e feticci. A un regista come lui lo si può concedere.

Fabio Ferzetti - Il Messaggero

promo

In un incidente d'auto avvenuto quattordici anni prima, lo sceneggiatore Harry Caine ha perso la vista e la donna amata, Lena. Da allora la sua vita non è stata più la stessa, nonostante l'aiuto economico e morale della sua amica e direttrice di produzione Judit García, e sono in pochi a conoscere la sua storia e la sua vera identità. Poi, una notte, Harry decide di raccontare la sua storia al figlio di Judit, Diego, che verrà così a conoscenza dell'universo di Mateo Blanco, Lena, Judit e Ernesto Martel, fatta di "amour fou" e dominata da fatalità, gelosia, tradimenti, abuso di potere e sensi di colpa.
Almodóvar sembra aver perduto con il tempo il suo speciale sarcasmo e persino il grottesco. Questo film non somiglia affatto ai primi film farseschi che lo hanno reso tanto amato e popolare in Europa. È invece tenero, dolce: l'ironia si esercita sul genere, non sulle emozioni dei personaggi, e il cambiamento non rende il film meno amorevole.

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TORRESINO - dicembre 2009

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