Aferim!
Radu Jude - Romania/Bulgaria/Rep.Ceca 2015 - 1h 48'

BERLINO 65 - Premio per la regia

    La nouvelle vague del cinema rumeno, già protagonista negli ultimi anni della scena cinematografica internazionale con film come 4 mesi 3 settimane 2 giorni, Palma d’Oro a Cannes, e Il caso Kerenes, Orso d’Oro qui a Berlino 2012, si presenta quest’anno a Berlino con un film inconsueto di smagliante bellezza.
Mentre la maggior parte dei registi rumeni degli ultimi anni cercava con diversi accenti tragici o comici di raccontare gli anni bui dell’era Ceaucescu, o i difficili inizi della democrazia, il giovane regista Jude Radu ci trasporta in un’epoca molto più remota e per noi quasi inconcepibile.
Aferim! (parola turca che significa “bravo, ben fatto!”) si svolge nella Valacchia del 1835 all’epoca formalmente turca, ma di fatto sotto la dominazione russa. Constantin, poliziotto al servizio di un boiardo, parte assieme al figlio, adolescente o poco più, alla caccia di uno schiavo fuggito dopo essersi macchiato di una grave colpa. Sì. Avete capito bene. Dal XIII secolo e fino quasi alla fine dell’Ottocento la maggior parte della popolazione Rom viveva in stato di schiavitù, veniva fatta lavorare senza compenso, poteva essere venduta e uccisa dai loro padroni rumeni.
Il film è per ritmo e struttura narrativa fondamentalmente un vero e proprio western (e non può non venire in mente la strana assonanza con i recentissimi Django Unchained e 12 anni schiavo). Ci sono tutte, infatti, le situazioni tipiche del western tradizionale: l’inseguimento a cavallo, la zuffa, la sparatoria, il guado, la taverna/saloon con relative puttane, il bivacco accanto al fuoco che si spegne. Il poliziotto attraversa villaggi agricoli di una miseria inimmaginabile, tetti di paglia, promiscuità con gli animali, bambini seminudi. In seguito ad una delazione, cattura il fuggitivo forse non così colpevole.
Durante le varie tappe del viaggio di ritorno col prigioniero ammanettato (la struttura è anche quella di un road-movie sui generis), i rapporti tra i personaggi e la realtà che attraversano si definiscono meglio. Constantin è, a suo modo, un giusto. Da una parte cerca di educare il figlio alla rettitudine (“preoccupati di fare il tuo dovere, il mondo non lo puoi certo cambiare”) e di avviarlo alla carriera militare, l’unica sicura in un mondo siffatto. Dall’altra dialoga con lo schiavo, ne sente le ragioni, gli promette di difenderlo dalla vendetta del boiardo.
Nel frattempo incontrano personaggi di tutte le etnie: turchi e russi, cristiani e ebrei, rumeni e ungheresi. Nell’irrisolto crogiuolo, Jude Radu ci dà un affresco riuscitissimo dei modi di pensare, dei pregiudizi, della difficoltà di coabitazione in una Romania antica ma, sembra suggerirci, non così diversa da quella attuale.
Tutto è estremamente vivo, tanta è la forza e la profondità dei dialoghi (in
Aferim! si parla molto!). Eppure il film, non dà mai quell’impressione di “teatro filmato” così poco piacevole. Citazioni e dialoghi sono godibilissimi, a volte esilaranti (vedi la scena della taverna).
Il film, ha raccontato il regista in conferenza stampa, è basato su approfondite ricerche storiche. Una delle scene più riuscite e più rivelatrici degli abissi dell’anima dell’epoca è quando, fermatisi ad aiutare un pope la cui carrozza è uscita di strada, questi si abbandona ad una filippica anti-rom, anti-semita e anti-tutti da far accapponare la pelle.
Aferim! è girato in un bianco e nero incredibile, direi quasi un color seppia, che dà l’impressione come di una cartolina ingiallita. Fin dall’inizio (personaggi sullo sfondo, titoli in sequenza in caratteri gotici, manca solo il logo Cineriz o Titanus degli anni ‘60!) sappiamo di trovarci di fronte a un film colto, ma non elitario, a volte travolgente, niente a che vedere con l’esilità melliflua del pluripremiato (?) The Artist. Infinite le allusioni alla realtà odierna dei Balcani, con le sue incomprensioni, odii, disprezzi tra le diverse etnie; una realtà stratificata e complessa di cui a volte noi europei facciamo fatica a capire tutte le implicazioni. Meritava l’Orso insieme a El Club: ai due sono andati i premi di consolazione maggiori. Panahi quest’anno non si poteva toccare.

Giovanni Martini - febbraio 2015 - pubblicato su MCmagazine 37