American Hustle - L'apparenza inganna
David O. Russell - USA 2013 - 2h 18'


   Lasciato in inglese (pur con il sottotitolo L'apparenza inganna), il titolo originale American Hustle si potrebbe tradurre con «imbroglio all'americana» oppure «furbata all'americana» perché nell'espressione gergale sono presenti entrambi quei significati: di truffa ma anche di colpo d'ingegno. Mancherebbe, a rigor di logica, una terza sfumatura, quella del «senso della misura», del non voler fare il passo più lungo della propria gamba. Che forse per il protagonista del film è la regola più importante. (...) La storia è vera: è quella del «caso Abscom» che tra il 1978 e il 1981 smascherò un giro di mazzette e legami mafiosi grazie alla collaborazione del truffatore Melvin Weinberg. Ma, come dice una didascalia all'inizio del film solo, «qualcosa di tutto questo è accaduto veramente» e scoprirlo non è neanche la cosa più importante. Perché quello che interessa a David O. Russell (già regista dei notevoli Three Kings, The Fighter e del sopravvalutato Il lato positivo) non è la ricostruzione in chiave realistica (o poliziesca) di un fatto di cronaca quanto, piuttosto, la possibilità di giocare con uno dei sottogeneri più popolari della new Hollywood - il poliziesco con «infiltrazioni» mafiose - per metterne in ridicolo i pilastri portanti, come se una tipica storia da bravi ragazzi di Scorsese memoria fosse declinata con i ritmi e le ironie della commedia. Ci mette subito sull'avviso la prima scena, con quel soffermarsi più del necessario sul parrucchino, così come la scelta di sottolineare l'inelegante epa di Rosenfeld: quello non è un «eroe del male» ma neanche il genio della «stangata», è piuttosto un povero cristo finito in un gioco più grande di lui, mentre il regista sembra divertirsi a intralciargli la strada con sempre nuovi problemi. Perché Di Maso non è un «semplice» agente dell'Fbi, ma un megalomane, convinto di essere una specie di super-eroe della Giustizia quando non è neanche capace di tener testa alla madre. Così come a un certo punto lo spettatore scopre che il protagonista ha una moglie (Jennifer Lawrence) che sembra la quintessenza dell'oca giuliva e che non smette un istante di rovinare i piani del marito. Per non parlare del vero colpo da maestro: l'entrata in campo di Robert De Niro nei panni di un boss occhialuto e calvo, cui il film regala una delle gag migliori. Il risultato (dopo una serie di colpi di scena che ribaltano continuamente la situazione, tra scenate di gelosia, tradimenti, minacce mafiose e sogni di carriera) è quello di un film che si reinventa continuamente mentre prova a riflettere su quell'intreccio tra voglia di successo e compiacimento narcisistico (Cooper con i bigodini in testa per arricciarsi i capelli strappa l'applauso) che forse è la chiave più vera per capire l'America che stava elaborando i traumi del Vietnam e del Watergate mentre iniziava a cedere alle chimere dell'«edonismo reaganiano». Il risultato però non sarebbe così riuscito senza la prova superlativa di tutto il cast: Bale calvo e ingrassato è uno spettacolo in sé, Bradley Cooper e Jeremy Renner sanno restituire con un mimetismo stupefacente quel misto di volgarità e ostentazione che è la cifra più nascosta di quel periodo (affascinante e inelegante come i vestiti che indossavano). Ma la mia palma personale va alle due interpreti femminili, una determinata, aggressiva (anche nelle scollature dei suoi vestiti) ma fragile nei suoi sentimenti, l'altra ingenua eppure spavalda nel rivendicare le proprie ragioni, entrambe straordinarie nell'interpretare due ruoli che avrebbero potuto cadere nella macchietta e che invece sanno reggere perfettamente per forza di ironia e di bravura.

Paolo Mereghetti - Il Corriere della Sera

   Finalmente un film come si deve. Dirige David O. Russell, l'autore di Il lato positivo, quindi uno che sa il fatto suo, che ha scritto, in comproprietà, anche la scintillante sceneggiatura. Mescolando abilmente suspense, azione e (blando) erotismo, il tutto ispirato a una storia vera, ovviamente con qualche svolazzo romanzesco supplementare. A cercare il pelo nell'uovo, i dialoghi potevano essere più stringati, ma ce n'è abbastanza per due ore e passa emozionanti. Dunque, siamo nella New York nel 1978. Con una scena d'apertura da cineteca: il quasi irriconoscibile Christian Bale (ingrassato di una ventina chili, dopo che, poveraccio, ne1 2003 gliene avevano tolti altrettanti per L'uomo senza sonno) si piazza sulla crapa pelata un terrificante parrucchino. Ed eccolo pronto per fare il suo vero mestiere: il truffatore in guanti bianchi; la catena di lavanderie è solo una copertura. Anche nella vita privata fa il doppio gioco, tra la moglie, la depressa casalinga Jennifer Lawrence, e l'amante, nonché socia, la vistosa Amy Adams, con scollature e spacchi da infarto. Un tipo così è l'uomo giusto per l'agente dell'Fbi Bradley Cooper, impagabile quando si fa i riccioli con i bigodini, che la arruola, con signora bis, per incastrare un manipolo di irraggiungibili politicanti bricconi. Al quartetto di formidabili protagonisti, s'aggrega il meno noto, ma non meno bravo, Jeremy Renner, inconsapevole caricatura di Little Tony, nei panni di un corruttibile sindaco dall'osceno ciuffo cotonato. Sarà un caso, ma tutti e tre i protagonisti maschili hanno qualche problema con la capigliatura. Di più non si può dire per non rovinare le continue sorprese a un pubblico cui si consiglia di tenere occhi e orecchi spalancati, altrimenti rischierà di perdere l'aggrovigliato filo. Impeccabili costumi d'epoca, intonatala colonna sonora, perfetto il quintetto d'attori in scena.

Massimo Bertarelli - Il Giornale

  A prima vista verrebbe da dire che American Hustle (cioè truffa) è una specie di Stangata meno allegra e spensierata. I due film hanno in comune gli anni Settanta, ma lì originavano il punto di vista, lo spirito del film; mentre qui sono il tempo dell'azione, visto da oggi e cioè da un punto di vista più cupo, certo assai meno spensierato. (...) La regia, del David O'Russell di Il lato positivo e di The Fighter, è curata, brillante, anche sorprendente. Egli ha raccolto un bel cast, in buona parte composto dagli stessi giovani interpreti emergenti già presenti negli altri suoi film (Bale e Adams in The Fighter, Lawrence e Cooper ne Il lato positivo), che esprimono una grande tensione emotiva (e mettono in campo sensualità e tensione erotica) per corrispondere a un disegno di regia che accomuna tutti i loro personaggi sotto la stessa stella. Quella - molto tipica della narrazione americana di sempre, dalla Grande Depressione alla New Hollywood, dal gangster movie classico alle sue rivisitazioni, passando per ogni sfumatura del Noir, dal più aggressivo al più crepuscolare - del giocarsi tutto alla ricerca di un posto nella vita che riscatti, non importa come: basta che si tratti di un colpo grosso e risolutivo, miserie e fragilità...

Paolo D'Agostini - La Repubblica


promo

New Jersey, anni Settanta. Il genio della truffa Irving Rosenfeld e la sua altrettanto astuta partner, nonché amante, Sydney Prosser sono costretti a collaborare con l'agente dell'FBI Richie DiMaso per risolvere un caso di corruzione nei pubblici uffici. I due si troveranno così coinvolti in un giro di politici corrotti e mafia tanto pericoloso quanto affascinante... «Chi è l’artista, Il pittore o il falsario?». Su questa domanda David O. Russell costruisce una narrazione a piramide verticale, risalendo i gangli della mafia mentre orizzontalmente si intrecciano eros e denaro, in un continuo gioco di mascheramenti, alimentato da personaggi complessi e tormentati. Un film che combina la passione per la truffa di David Mamet, il gusto pop per il pianeta malavitoso di Scorsese e la commedia classica hollywoodiana alla Preston Sturges - il tutto in un delirio di pettinature bouffant, abiti di Diane Von Furstenberg e Alston, su 'greatest hits' di Elton John, Donna Summer e Bee Gees. Mainstream di paradosso e adrenalina, il fascino del crimine è cinema puro.

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