Anna and the King
Andy Tennant
– USA 19992h 36’

da La Repubblica (Irene Bignardi)

Fra tutte le trasposizioni cinematografiche del celebre musical di Hammerstein e Rodgers, inclusa la versione a disegni animati di due anni fa, Anna and the King è quella che può vantare la maggiore aderenza fisica ai personaggi. Se Yul Brinner, che interpretava il re nell'edizione del '56, esibiva tratti orientaleggianti, il nuovo sovrano del Siam è cinese: Chow Yun-Fat, l'attore feticcio di John Woo. Ma anche Jodie Foster col suo viso puntuto, le labbra sottili e l'espressione orgogliosa, finisce per risultare una credibilissima istitutrice inglese dell'800. La storia riguarda le esperienze di Anna Leonowens, vedova con un figlio che accetta di trasferirsi nell'antica Tahilandia per addestrare alla cultura occidentale una consistente fetta dei rampolli (in tutto ne ha una sessantina) di re Mongkut. L'interesse drammatico è basato su tre elementi principali: l'abisso di culture che separa i due personaggi, all'inizio apparentemente incolmabile, l'amore impossibile che sboccia tra loro e una cospirazione contro il sovrano del Siam, fomentata da un generale fellone e guerrafondaio che vuole sopprimere la dinastia per fare guerra agli inglesi. Ma ci sono anche una second story di amore impossibile (tra una concubina di Mongkut e un giovane monaco), lutti vari e elementi psicologici che servono ad avvicinare i due mondi di Anna e del re. Diretto da Andy Tennant, Anna and the King contiene quel tanto di politicamente corretto che ci si aspetta oggi da un film: di contro all'ingenuo eurocentrismo delle versioni precedenti, in altre parole, gli inglesi si prendono la meritata patente di imperialisti e colonialisti. Per il resto, è un filmone di due ore e mezza molto "old style". Ma nel migliore dei sensi: fastoso e spettacolare, ben fotografato, emozionante, sentimentale e commovente nei momenti giusti. Benché Anna sia ispirata a una donna esistita davvero, il tono è quello della fiaba, specie nel doppio ballo fra l'istitutrice-Cenerentola (per la cronaca Tennant ha diretto La leggenda di un amore - Cinderella) e il monarca. Nel disegnare l'evoluzione del suo personaggio, all'inizio piuttosto acido e scostante, Jodie Foster è brava come sempre. Ma la vera sorpresa è Chow Yun-Fat, già protagonista di film di culto hongkonghesi (The Killer, Hard Boiled) e di due actioner americani, che offre al re del Siam la sua quieta virilità e la giusta dose d'ironia.

da L'Unità (Alberto Crespi)

Remake o «Trimake»? Siamo già al terzo rifacimento della storia di Anna Leonowens, istitutrice britannica alla corte del re del Siam. Il primo (del 1946, con Irene Dunne) si chiamava appunto Anna e il re del Siam e segnò l'esordio hollywoodiano di Rex Harrison (che era inglese, ma faceva il siamese). Il secondo e più famoso, del 1956, si intitolò invece Il re ed io e si ispirava direttamente al musical teatrale della super-coppia Rodgers & Hammerstein: lei era Deborah Kerr, lui era Yul Brynner, lievemente più in parte di Harrison e capace di ritagliarsi il ruolo di una vita (vinse l'Oscar, e fu re del Siam per anni sui palcoscenici a Broadway). La nuova versione è diretta dall'americano Andy Tennant, già autore di La leggenda di un amore - Cindarella, ovvero Cenerentola interpretata da Drew Barrymore: è sempre la storia di una fanciulla che va a corte, ma al di là delle battute risulta difficile immaginare le ragioni di questa nuova infatuazione per la storia di Anna e del re Mongkut. La «correttezza politica» della Hollywood di fine secolo porta se non altro Tennant a girare nei luoghi quasi veri (la Malesia, che è appena sotto la Thailandia) e ad affidare il ruolo del re a un attore asiatico, il cinese Chow Yun-Fat. Cinesi e siamesi non sono proprio uguali, ma il pubblico sorvolerà, nel nome del box-office: Chow è il massimo divo del cinema di Hong Kong, è celeberrimo in Asia e altrove grazie ai film di John Woo (ma anche di altri registi importanti come Ringo Lam, Johnny To e Tsui Hark) e una lunga carriera televisiva. Lui garantisce botteghino a Est, mentre agli altri tre punti cardinali penserà Jodie Foster, una delle poche, vere dive del cinema americano moderno. La coppia effettivamente è bene assortita, ma il film non li aiuta: la sceneggiatura di Steve Meerson e Peter Krikes è prolissa e pachidermica come un elefante del Siam, e la rilettura squisitamente drammatica proposta da Tennant non approfondisce il tema già al centro dei primi due film, limitandosi ad appesantirlo (scordatevi le musiche e i balli dell'edizione con Brynner). Tema che per altro si enuncia in due parole: il rapporto Oriente-Occidente, l'incontro-scontro fra culture che si realizza quando la giovane vedova Anna, accompagnata dal figlioletto Louis, arriva nel Siam a metà dell'Ottocento per educare alla lingua e alla civiltà inglese il rampollo di re Mongkut. A dire il vero Anna scopre ben presto che i figli di Mongkut sono, in realtà, 58: il re ha una settantina fra mogli e concubine, e questo è il primo shock. Ma Anna ha un bel caratterino: impiega poco a mettere in riga la reale scolaresca, e a sconvolgere il cerimoniale di corte. Dal canto suo il re si affeziona a questa inglese così diversa dalle donne del suo paese, e trova in lei un'inattesa alleata quando i nemici birmani, foraggiati proprio dal Leone britannico, tentano di invadere il Siam e rovesciare il suo trono... Colorato ed esotico, Anna and the King dura 156 minuti che sembrano tre giorni. Più che una storia d'amore (appena accennata), è un prolisso romanzone sull'utopia di un mondo basato sulla multirazzialità e sul rispetto. Ma l'utopia, raccontata così, diventa pura melassa.

scheda CGS aprile 2000
[Don BOSCO]