L'assedio dell'Alcazar
di Augusto Genina - Italia 1940 - 1h 58'

  

Con L'assedio dell'Alcazar, del 1940, Augusto Genina vinse per la seconda volta la Coppa Mussolini per il miglior film italiano al Festival di Venezia, bissando il successo ottenuto nel 1936 con Squadrone bianco.
Nato nell'ultimo decennio del 1800, Genina aveva cominciato come scrittore di soggetti cinematografici esordendo nella regia nel 1914 con
La moglie di sua eccellenza, esempio di un cinema esotico-turistico, primo tassello di un carrierea possiamo dire inizialmente grigia, priva di volontà di rinnovamento o personalizzazione con film pedissequamente teatrali come Addio giovinezza, Cirano di Bergerac, Lulù. Prima del sonoro si trasferì in Francia sfornando una serie di film con protagonista Carmen Boni, ma di quel periodo resta citabile soltanto Miss Europa, una raffinata commedia con un'interprete del calibro di Louise Brooks. Tornato in Italia si sentì alfiere del regime e realizzò con Squadrone bianco un'avventura militare nel deserto, evidentemente propagandistica dell'azione coloniale del governo, ma certamente affascinante nella combinazione eroi valorosi-paesaggi sperduti. Con L'assedio dell'Alcazar Genina consolidò la sua identità di autore del regime (il combattimento a Toledo tra governo repubblicano e falangisti di Franco è ovviamente a favore di questi ultimi) e ribadì le sue qualità di autore solido, capace di dirigere con sicurezza gli attori e di calibrare il racconto con apprezzabili risultati tra carattere corale ed episodico. A rivederlo oggi certo risaltano le ingenuità e le pecche, ma nel 1940 fu salutato come il film più tecnicamente perfetto di quel decennio ed alcune sequenze commoventi, come la bambina che chiama la mamma, la fucilazione dell'ufficiale, l'ultimo discorso del capo monarchico, sono stati citati per anni nelle pagine di cinema.
Non c'è spazio per raccontare gli anni seguenti della carriera di Genina, ma lasciatemi ricordare soltanto il successo di
Cielo sulla palude del 1949, un film di un neorelismo manieristico che narrava nientemeno che la storia di Maria Goretti. Il melodramma in fondo era il vero carattere stilistico di Augusto Genina.

e.l. telechiara novembre 1991