Bon voyage
Jean Paul Rappeneau - Francia  2003 1h 54’


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da La Repubblica (Roberto Nepoti)

     Ci sono registi bulimici di cinema, altri che si fanno vivi solo di rado. Appartiene alla seconda categoria Jean-Paul Rappeneau, che ha una settantina d'anni e, in trentasette d'attività, ha firmato sette film in tutto, tra cui un indimenticabile Cyrano de Bergerac con Depardieu e L'ussaro sul tetto. Nell'estate del 1940 il governo francese del maresciallo Pétain mette sede a Bordeaux. All'hotel Splendide s'incrociano i destini di molti personaggi: una celebre attrice paranoica, calcolatrice e disposta a qualsiasi bassezza (Isabelle Adjani), un ministro opportunista, che la protegge (Gérard Depardieu), una giovane donna innamorata nonché membro della Resistenza (Virginie Ledoyen), un carcerato in fuga, un seduttore mascalzone e parecchia altra gente. Cinefilo fino nelle midolla (il film si apre e si chiude in una sala cinematografica), ma anche amante del teatro, Rappeneau coniuga la tradizione iperfrancese del vaudeville con l'omaggio alle commedie americane dell'"età d'oro", come quelle di Howard Hawks, senza escludere un tocco di Lubitsch. A questo punto si potrebbe temere l'operazione archeologica, la riesumazione di vecchi modelli non più in sintonia con il pubblico d'oggi. Non è così. Certo, a ciascuno il suo pubblico, ma chi ama ancora il cinema dove le immagini di sintesi lasciano il posto alla messa in scena e l'interesse si concentra sulle interpretazioni degli attori, apprezzerà. Nulla di mummificato: al contrario. Rappeneau inserisce le piccole storie private dei suoi personaggi sullo sfondo della Storia (De Gaulle, la Resistenza, il collaborazionismo) dando al tutto un ritmo forsennato, giocando di macchina da presa, accumulando azione e sentimenti senza preoccupazioni di verosimiglianza. Ogni inquadratura è composta con un massimo d'accuratezza e meticolosità; eppure tutto è in movimento perpetuo. Sarà una forma di contagio, trainato dall'evidente piacere che il regista prova nell'usare la macchina da presa: sta di fatto che gli attori si divertono palesemente a recitare i loro ruoli, ripagandolo con il massimo del rendimento. E poi, se vogliamo riciclare l'ormai abusata espressione "teatrino della politica" non sarà che un film come questo ha qualcosa da dire anche sulla moneta corrente (la meschineria, le bugie, la duplicità) nella politica odierna?

i giovedì del cinema invisibile TORRESINO aprile-giugno 2004
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