Il canto delle spose (Le chant des mariées)
Karin Albou - Francia/Tunisia 2008 - 1h 40'

  Tunisi, novembre 1942. Due adolescenti, Myriam e Nour sono amiche e vicine di casa sin dall'infanzia e condividono ogni segreto. Nour, musulmana, è innamorata di Khaled che il padre non vuole come genero finché non avrà un lavoro. Myriam, ebrea e orfana di padre viene promessa in sposa a Raoul, un medico benestante molto più vecchio di lei ma in grado di sanare i problemi economici familiari. Le due conserveranno una forte solidarietà fino a quando l'occupante tedesco, spalleggiato dai francesi collaborazionisti, non inizierà un'azione di propaganda volta a mettere i musulmani contro gli ebrei.
Karin Albou ha già affrontato nella sua opera prima (inedita in Italia)
La petite Jérusalem il complesso tema del rapporto tra individui e fede religiosa. Torna ora ad occuparsene con una vicenda ambientata nella Tunisia coinvolta nella Seconda Guerra Mondiale in cui il contesto storico funge da catalizzatore di tensioni che restano però universalmente valide. Perché queste due giovani donne hanno sviluppato una solidarietà così forte che può essere incrinata solo dall'irrompere di ideologie che si sovrappongono all'umano sentire per fagocitare qualsivoglia tentativo di razionalità.
La regista, che si riserva anche il ruolo della madre di Myriam, centra l'obiettivo quando decide di andare oltre al politically correct (mostrando cioè la condizione dei tunisini musulmani e quella dei loro connazionali di origine ebraica) per raccontare una storia che trova la propria forza espressiva nella condizione femminile. Una condizione a cui sembrerebbe non poter sfuggire nessuna delle due. Nour, invaghita di un Khaled tanto maschilista quanto pronto a farsi indottrinare senza riflettere. Myriam, destinata a un uomo che detesta ma per il quale si ‘deve' preparare. I corpi femminili assumono una grande espressività in un film che non li esibisce per voyeurismo ma ce li fa ‘sentire' come soggetti (si vedano le scene nell'hammam) che possono in ogni momento divenire ‘oggetti' da possedere con l'inganno e il fascino subdolo (Khaled) o con il potere del denaro (Raoul). Ma non si tratta di vetero-femminismo. Albou mostra i lati umani anche dei due protagonisti maschili riservando inoltre al padre di Nour due brevi scene dense di significato.
Le due ragazze hanno troppo in comune perché tutto debba essere corrotto dalla paura e dagli slogan? In un mondo reso cieco dall'irrazionalità tutto congiura perché ciò avvenga. Purtroppo non è solo storia di ieri.

Giancarlo Zappoli - Mymovies.it

  Appaludita quattro anni fa con il suo film d’esordio, La petite Jérusalem (selezionato alla Settimana della critica di Cannes e premiato per la miglior sceneggiatura), Karin Albou torna a parlare dei conflitti interrazziali e delle «oppressioni culturali » sulle donne anche con il suo film successivo, Il canto delle spose (Le Chant des mariées), presentato fuori concorso l’anno scorso al Torino Film Festival e ora sugli schermi italiani.
Cambia invece l’ambientazione e il periodo storico: non più Israele oggi, ma Tunisi nel 1942, quando le forze dell’Asse occuparono la città fino ad allora in mano francese. Qui, compagne d’infanzia e vicine di casa, vivono l’araba Nour (Olympe Borval) e l’ebrea Myriam (Lizzie Brocheré), entrambe sedicenni ed entrambe di bassa, se non bassissima, condizione sociale. Ma se per Nour questa povertà vuol dire procrastinare il matrimonio con l’amato Khaled, almeno fino a quando il fidanzato non troverà un lavoro, per Myriam l’indigenza diventa ogni giorno un problema più grande perché le leggi razziali, prontamente messe in vigore, fanno perdere il posto alla madre Tita (interpretata dalla stessa regista, Karin Albou), perché la comunità ebraica deve pagare una «tassa» salatissima agli occupanti tedeschi (a cui naturalmente Tita non può far fronte) e perché la popolazione locale viene ben presto contagiata da uno strisciante spirito antisemita che emargina madre e figlia. A farne soprattutto le spese è l’amicizia tra le due ragazze, che la regista filma con lunghe scene spesso senza parole, insistendo prima sui momenti di complice affettuosità che le legava e registrando dopo la sospettosa diffidenza che si introduce tra le due, allontanandole sempre di più.
Il fotografo Laurent Brunet punta a riprendere in maniera non convenzionale una città forse troppe volte sfruttata al cinema «dipingendola» con tutte le diverse tonalità del blu e dell’azzurro, la regista, dal canto suo, non si interessa più di tanto allo scontro tra locali e invasori, estremizzando gli arabi in potenziali collaborazionisti in nome dell’odio antifrancese e antiebraico (mentre ai tempi i nazionalisti di Bourguiba presero subito le distanze dai tedeschi) e usando gli uomini — il fidanzato Khaled, l’attempato medico Raoul, il padre di Nour — per portare in scena le tante facce di una «oppressione » che è per prima cosa sessista ma anche culturale e infine sociale.

Paolo Mereghetti - Il Corriere della Sera





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Due ragazze adolescenti, Myriam e Nour, sono grandi amiche e vicine di casa. Nour è musulmana ed è innamorata di Khaled, ma il padre della giovane non approva questo rapporto, almeno finché lui non avrà trovato un lavoro. Myriam, che è ebrea, è stata promessa in sposa a Raoul, un medico benestante molto più grande di lei. Le due conservano la loro forte amicizia fino a quando, nel novembre del 1942, l'ingresso dell'esercito nazista a Tunisi cambierà per sempre le loro esistenze. L'occupante tedesco, spalleggiato dai francesi collaborazionisti, inizia un'azione di propaganda volta a mettere i musulmani contro gli ebrei, anche il legame tra Myriam e Nour sarà messo a dura prova...
La regia, nel forzare la mano descrivendo la condizione dei tunisini musulmani e quella dei loro connazionali di origine ebraica, decide di andare oltre al politically correct per raccontare una storia che trova la propria forza espressiva nella precarietà delle condizione femminile. Purtroppo non è solo storia di ieri.