Come pietra paziente (Syngué Sabour)
Atiq Rahimi - Francia/Germania/Afghanistan 2012 - 1h 43'

 Il titolo del romanzo (Einaudi) e del film che lo scrittore stesso - l'afghano naturalizzato parigino Atiq Rahimi - ne ha tratto, si riferisce a una sorta di pietra magica alla quale si usa confidare disgrazie e dolori per essere alleviati quando infine la pietra va in frantumi. La 'pietra paziente' cui si rivolge la protagonista (un'intensa Golshifteh Farahani) è suo marito, eroe di guerra che giace in coma gravemente ferito. Siamo nei sobborghi di Kabul, dove di continuo si aggirano pattuglie di uomini armati pronti a uccidere e a stuprare; ma la donna, dopo essersi rifugiata con le figliolette da una zia in una zona protetta, ogni giorno sfida il pericolo per recarsi al capezzale del coniuge, che non può né sentire né parlare, e raccontargli frustrazioni matrimoniali e inconfessabili segreti. Pur girato in gran parte nei luoghi veri, il film di Rahimi non è giocato su un registro realista: il soliloquio è imbastito con raffinatezza letteraria (la sceneggiatura porta anche la firma del grande Jean Claude Carrière) sulla linea di un percorso di emancipazione che, partendo da un preciso contesto culturale (l'integralismo islamico), finisce per assumere un valore emblematico, allusivo di qualsiasi condizione di oppressione sotto ogni cielo.

Alessandra Levantesi Kezich - La Stampa

   Il momento In una stanza spoglia un uomo è disteso a terra, nell'immobilità assente del coma, la giovane moglie inginocchiata accanto a lui amorevolmente lo assiste e sempre più crudelmente gli parla: fuori le cannonate, le macerie, la polvere, i carri armati, i morti, di Kabul. La meraviglia sconvolgente di Come pietra paziente, nasce da queste immagini dolenti e miserabili, dal lungo monologo angosciato e feroce della donna che raccontando se stessa racconta tutta la sofferenza, l'umiliazione, la ribellione di milioni di donne; dal viso di emozionante bellezza dell'attrice iraniana Goldhifeth Farahani, che l'impenetrabile burka cancella, ogni volta che con gesti antichi di rabbia e sottomissione lei ci si imprigiona. Il film diretto dall'afgano Atiq Rahimi, che vive in Francia da 30 anni (sceneggiato con Jean-Claude Carrière), è tratto dal suo romanzo Pietra di pazienza vincitore del Goncourt nel 2008 (Einaudi), ed è una di quelle opere straordinarie che ogni tanto il cinema sa dare, incantandoci e costringendoci a pensare al dolore del mondo, e in questo caso all'oppressione delle donne cui tutto viene negato in società patriarcali, dominate dalla frustrazione sessuale e dalla tirannia religiosa.

Natalia Aspesi - La Repubblica


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Ai piedi delle montagne attorno a Kabul, una giovane moglie accudisce il marito, eroe di guerra, in coma. La guerra fratricida lacera la città, i combattenti sono alla loro porta. Costretta all'amore da un giovane soldato, contro ogni aspettativa la donna si apre, prende coscienza del suo corpo, libera la sua parola per confidare al marito ricordi e segreti inconfessabili. A poco a poco in un fiume liberatorio tutti i suoi pensieri diventano voce: incanta, prega, grida e infine ritrova se stessa. L'uomo privo di conoscenza al suo fianco diventa dunque, suo malgrado, la sua "syngué sabour", la sua pietra paziente, la pietra magica che poniamo davanti a noi stessi per sussurrarle tutti i nostri segreti, le nostre sofferenze... finché non va in frantumi. Il film intenso, con una figura di donna complessa e affascinante, non è giocato su un registro realista: il soliloquio è imbastito con raffinatezza letteraria sulla linea di un percorso di emancipazione che, partendo da un preciso contesto culturale (l'integralismo islamico), finisce per assumere un valore emblematico, allusivo di qualsiasi condizione di oppressione sotto ogni cielo.

cinélite giardino BARBARIGO: giugno-agosto 2013