Con gli occhi chiusi
Francesca Archibugi - Italia 1994 - 1h 50'

  

    Che sofferenza può dare il vivere, specie quando l'ingenuità dell'adolescenza e dell'amore non pone argini di saggezza al cinismo degli eventi! Francesca Archibugi (Mignon è partita, Verso sera, Il grande cocomero) non vuole risparmiarcene neanche per un istante l'amara consapevolezza, portando sullo schermo il romanzo di Federigo Tozzi Con gli occhi chiusi, scritto e ambientato nei primi anni del '900, nella campagna toscana.
La storia è quella di Pietro (figlio di un benestante oste-padrone) che s'innamora perdutamente della coetanea Ghisola, una "sua" contadinella, ma che è destinato a vedersela sfuggire, alfine anche dal cuore, sotto i colpi di un destino cadenzato da un padre arrogante e licenzioso, dal peso delle differenze di classe, dalla cupa degenerazione di una femminilità sfruttata, da una crescita affettiva troppo a lungo vissuta "con gli occhi chiusi".
Lo sguardo dell'Archibugi vuole essere il più possibile aderente alla realtà che descrive, sta addosso ai suoi protagonisti con l'accurata funzionalità dei primi piani, ricorre ad azzeccate inquadrature a piombo per suggerire l'incombere del fato, sfrutta al meglio la presenza scenica della selvatica Alessia Fugardi (la Pippi de Il grande cocomero) e la sensualità trattenuta della Caprioglio; pecca talvolta di calligrafismo (quelle sequenze fuori fuoco che enfatizzano il senso del titolo), ma il suo intento è proprio quello di permeare lo schermo di segni tangibili di una sofferenza interiore estrema, di contrapporre alla luminosità delle immagini (la campagna senese affidata alla preziosa fotografia di Giuseppe Lanci) e alla ricchezza espressiva dei tanti "volti" del racconto, la povertà umana di una società ancora terrigna e impietosa.
Lontano dalle emozioni facili del cinema commerciale
Con gli occhi chiusi tende a non coinvolgere, ma lascia, lacerante, la testimonianza di un senso del vivere "castrato" (anche qui la metafora è esplicita) di affetti e di speranze. Di fronte ad un film così duro e disperante non c'è mai da "chiudere gli occhi" (anche se la sensibilità femminile può restare infastidita dal documentarismo di alcune sequenze), ma c'è da aprire il cuore verso un'umanità costretta a "pigliare la vita a morsi", verso una giovinezza che ieri come oggi ha il diritto di vivere fino in fondo, con serenità, le illusioni dei propri sentimenti.

ezio leoni - La Difesa del Popolo 1 gennaio 1995