Il diario di Bridget Jones (Bridget Jones's Diary)
Sharon Maguire - Gran Bretagna 2001 - 1 37'


www.miramax.com/bridgetjonesdiary

da L'Unità (Alberto Crespi)

Il diario di Bridget Jones non é un film. E' un fenomeno. Un caso di infatuazione multimediale e multinazionale per un «oggetto» nato per caso, semplicemente perché il quotidiano inglese The Independent non sapeva cosa far scrivere alla sua giornalista Helen Fielding. La signora si inventò il diario settimanale, fortemente autobiografico, di una single trentaduenne affetta dalla solitudine e dalla cellulite. Fu il boom. Dalle colonne dell'Independent Bridget Jones é arrivata in libreria (due romanzi, naturalmente in forma di diario) e ora al cinema: che essendo perennemente a corto di idee non poteva lasciarsi sfuggire questo personaggio, cavallo di battaglia ideale per dive emergenti e poco preoccupato del look. Renèe Zellweger ha vinto la lotteria: Bridget Jones è toccata a lei, e deve averle lasciato buona parte dei suoi problemi, perché la giovane diva deve avere introiettato la sindrome Bridget in maniera patologica. Nel film Renèe è paffutella, oggi - a più di un anno dalle riprese - è secca come un grissino, ha i muscoli a vista e il seno è scomparso, tipici effetti di una dieta mal riuscita. Affari suoi, comunque, il film, invece, è affar nostro. E diciamo subito che i fans del romanzo vi ritroveranno tutti i tic di Bridget e del suo stravagante mondo, ma, come dire?, devastati dall'oggettività del cinema rispetto alla soggettività del diario. E qui si pone un problema serio: che è poi l'eterno problema del rapporto fra letteratura e cinema. Proviamo a spiegarlo così. Un romanzo in prima persona, soprattutto se in forma di diario, si giustifica di per sé: qualunque follia Bridget ci racconti, sappiamo che è filtrata dalla sua sensibilità e dalla sua voce; se lo scrittore trova una «voce» sufficientemente forte, può poi raccontare ciò che vuole, anche e soprattutto le ossessioni, gli incubi, le allucinazioni. Sulla carta Helen Fielding, questa voce, l'ha trovata. Ma il cinema é un altro paio di maniche. Leggere che la mamma di Bridget è una pazza fanatica può esser divertente, perché é Bridget che la vede e la descrive così; sullo schermo diventa una macchietta, come tutti i personaggi del film. Leggere che Bridget paragona il suo capoufficio Daniel (del quale é masochisticamente innamorata) a Hugh Grant, e il vecchio amico di famiglia Mark (del quale fortunatamente si innamora) a Colin Firth, va benissimo: vederli nel film interpretati, da Grant e da Firth distrugge almeno il 50% dell'effetto. Anche perché Colin Firth è un signor attore mentre Hugh Grant è il solito bellimbusto capace solo di battere le palpebre, e quindi la scelta di Bridget che per metà film lo predilige e lo insegue vanamente - appare, a qualunque essere ragione, del tutto insensata. Il difetto del film sta nelle ragioni stesse del suo successo: per rispettare la natura profonda del romanzo, si sarebbe dovuto girare un film quasi sperimentale, totalmente visto e vissuto attraverso gli occhi di Bridget, un po’ come certi gioielli inglesi post-Free Cinema. Ma né la regista Sharon Maguire, né gli sceneggiatori Andrew Davies e Richard Curtis (oltre alla stessa Fielding) avevano il talento, o la forza produttiva, per imporre soluzioni così «colte», Il film é quindi piatto, stupidello, moderatamente divertente...

da Film Tv (Emanuela Martini)

...Non un film di regia, certo; la Maguire fa il suo mestiere mettendosi al servizio del libro e, soprattutto, dei suoi personaggi, senza dimostrare un particolare talento comico. Ma in questo caso il materiale basta a se stesso. Le delusioni, i chili di troppo, gli ettolitri di vino bianco e le tonnellate di junk food ingurgitati in solitudine o tra la nevrotica complicità delle amiche, le silenziose lotte con un telefono che non suona e forse é guasto e comunque é meglio portarselo sotto la doccia per non correre il rischio di non sentirlo, i pigiami con le pecore e i mutandoni di tipo ascellare, se cuciti bene insieme bastano e avanzano per fare una commedia svagata e felice sulla "singlitudine" e la ricerca dell'uomo giusto. Soprattutto quando ci sono tre attori in stato di grazia come l'irresistibile Renée Zellweger, quel bastardo di Hugh Grant e il "darcyano", austeniano, stupefatto Colin Firth, che finalmente rivela anche da noi il suo fascino.


cinélite
TORRESINO all'aperto: giugno-agosto 2002