Dinosauri (Dinosaur) - Ralph Zondag e Eric Leighton - animazione USA 2000 - 1h 15'
Galline in fuga (Chicken Run) - Peter Lord e Nick Park - animazione USA 2000 - 1h 25'

  

    Meglio il digitale e l'invenzione parascientifica di forme e realtà primordiali o  la duttilità caricaturale della plastilina adattata ad una fiaba paradossale? Il dilemma cinematografico di questo Natale in fondo sta qui, tra la strombazzata potenza immaginifica di Dinosauri e l'invenzione divertita e chiassosa di Galline in fuga
Per entrambi dei "precedenti" cinefili che ne inquadrano la progettualità, di stile e di target: l'idea che porta alle mirabolanti architetture genetiche informatizzate di
Dinosauri passa ovviamente attraverso il successo planetario della computer graphic di Toy Story, ma  risale, nell'essenza della storia,  alla fine degli anni '80, quando in casa Disney si ipotizzava un lungometraggio naturalistico sui grandi rettili, uno pseudodocumentario che sfruttasse le nuove tecnologie (vedi Cecchi Paone e la sua "Macchina del tempo"). Il buonismo antropomorfo della tradizione disneyana e gli spunti utopistici anticipati da Alla ricerca della valle incantata (cartone animato  prodotto da Spielberg nell'88) hanno indirizzato il lavoro di Zondag e  Leighton verso un racconto "salvifico" che accompagna  un pluriassortito branco di animali preistorici (tardo Cretaceo, sessantacinque milioni di anni fa!) nell'esodo verso una terra fertile, dopo che una pioggia di meteoriti ha trasformato il loro habitat in una landa desolata.  Aladar, il protagonista, è un giovane iguanodonte allevato da una famiglia di lemuri (Tarzan docet). Nel viaggio verso la terra promessa dimostrerà coraggio, spirito di intraprendenza e  sentimenti "umanitari". Tutto perfettamente orchestrato, in sinergia con la spettacolarità dell'animazione computerizzata, per stupire e avvincere il pubblico di tutte le età. Il risultato è raggiunto solo in parte: se la verosimiglianza "documentaristica" non è perfetta, l'effetto tridimensionale non fa comunque rimpiangere né la ricchezza cromatica del cartoon classico né l'efficacia iperrealistica dei pupazzi "in movimento", ma ciò che lascia perplessi è la superficialità del vero coinvolgimento cinematografico. Superata l'emozione iniziale di un mondo virtuale che si dipana con vertiginosa concretezza di fronte ai nostri occhi, la tensione si stempera nel semplicismo retorico di una preistoria da oratorio: da Himalaya a Dinosauri la tendenza ecologico-morale da SuperQuark ci lascia un po' indifferenti.
Tutt'altro discorso per
Galline in fuga (Chicken Run) che ha come antecedenti il film (1993) e i molteplici corti per la BBC di  Wallace & Gromit, realizzati da Peter Lord e Nick Park.  Qui il digitale è un mondo freddo e lontano, la tecnica è quella artigianale dello stop-motion, applicata a personaggi in plastilina, modellati, colorati e posizionati sul "set" con maniacale pazienza e geniale coreografia filmica. Così l'avventura cinematografica può sbizzarrirsi con naturalezza miscelando azione, comicità e… citazioni.  Spaziando da Stalag 17 a Il ponte sul fiume Kway, ma facendo riferimento soprattutto a La grande fuga,  la vicenda di Galline in fuga si anima in  un campo di concentramento per galline dove l'intrepida Gaia progetta  continue evasioni per sé e per tutto il gruppo, minacciato dalla cinica gestione della signora Tweedy. L'angoscia individuale di diventare carne da arrosto (qualora la quota produttiva di uova non venga rispettata) si tramuta in incubo collettivo quando giunge alla fattoria un mostruoso macchinario per "sformati di pollo". Il destino di tutte sembra segnato, ma l'arrivo del Rocky, galletto da circo, fanfarone ma leale, dà a Gaia  la verve vincente per spiccare il volo verso la libertà… A parole la retorica narrativa di Chicken Run sembra paragonabile a quella di Dinosauri, ma il cinema è fatto di ritmo, di  capacità di calibrare eccesso figurativo e affettuosa ironia, di orchestrare un gioco autoreferenziale in cui i luoghi comuni diventano spassosi punti di forza, le esasperazioni caricaturali stemperano il "dramma", l'arguzia narrativa e il piacere del paradosso strappano di continuo il sorriso.

ezio leoni - La Difesa Del Popolo  24 dicembre 2000