La doppia ora
Giuseppe Capotondi –  Italia 2009 - 1h 35'

Venezia 66° - Concorso
COPPA VOLPI
 per la miglior interpretazione femminile
a
Ksenia Rappoport

  Ultimo, e decisamente il migliore, del poker di italiani in concorso, La doppia ora dimostra quanto sia sterile la polemica innescata a proposito del film sul '68 di Placido prodotto sotto l’egida berlusconiana. Perchè il problema non è (solo) chi produce e distribuisce ma (soprattutto) chi c’è dietro la macchina da presa. Anche l’opera prima di Giuseppe Capotondi ha il tocco della Medusa, ma reca pure il marchio della preziosa e oculata Indigo Film, animata Francesca Cima oltre che da Nicola Giuliano e Carlotta Calori, l’etichetta di qualità cui dobbiamo i film di Paolo Sorrentino e La ragazza del lago di Molaioli. Quanto dire il nostro cinema migliore, più moderno, "europeo", linguisticamente raffinato e fuori dal coro. Non fa eccezione questo avvincente thriller psichico a scatole cinesi, che declina senza remore alcune referenze importanti quanto variegate, da Hitchcock a Polanski, dal Kieslowski di La doppia vita di Veronica al Lynch di Twin Peaks sino (soprattutto per una certa costruzione della suspense) allo Zemeckis di Le verità nascoste, ma che scintilla di luce propria nell’organizzazione visiva della tensione e nella nitida scansione di una sceneggiatura (la firmano Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo) che architetta colpi di scena e cambi di passo con ottimo ritmo e sapiente dosaggio degli interrogativi. Al centro, in una suggestiva e notturna Torino, l’ambigua figura femminile di Sonia (Ksenia Rappoport, sempre vibratile e di una sfuggente seduttività), che viene da Lubiana (scelta etnica di script forse non opportunissima, visti gli sviluppi narrativi successivi e l’aria che tira nel paese), la quale di giorno fa la cameriera ai piani e di notte l’entraîneuse in un bar di "speed date" gestito da una garrula tenutaria (impagabile cameo di Lucia Poli). In uno di questi incontri incrocia l’ombroso ex poliziotto Guido (Filippo Timi, attore in crescita ormai esponenziale per intensità e presenza fisica) che ora fa il custode in una villa. I due si attirano e si innamorano con prudenza, lenendo le reciproche ferite dell’anima. Ma un atto di violenza irrompe tragicamente lasciando Sonia da sola, smarrita, e circondata da inquietanti presenze. È la parte migliore del film, quella dove Capotondi cesella un clima horror quasi da manuale, brulicante di segnali angosciosi e nel quale la realtà sembra collassare: lo fa con bella perizia tecnica, ottima scelta di tempi della paura, sintassi sospensiva e un andamento indiziario (apertosi del resto con l’enigmatico suicidio iniziale). Poi gli autori decidono, hitchcockianamente, di svelarci la verità: non avendo mai ritenuto che riferire criticamente di un film si esaurisca nel (o coincida con) raccontarne la trama, non comincerò certo a farlo in quest’occasione. Basti dire che si apre un secondo film, un'altra "ipotesi di reale" dove i ruoli si rovesciano. A questo punto però le domande si moltiplicano: qual è la vera Sonia? Le scelte della prima corrisponderanno a questa "nuova" donna? O la verità nascosta è alla fin fine una sola? La metafora della "doppia ora" (23 e 23, 14 e 14 ecc.) in cui "scatterebbe" il passaggio dall’una all’altra dimensione si fa minacciosamente ammonitorio ma il disvelamento finale preferisce i toni del melò, e il ritmo inevitabilmente si allenta. È un’opzione rispettabile, ma si sarebbe preferito che Capotondi insistesse su un piano diverso e sui toni forti della parte centrale, senza magari disperdersi in qualche esibizionismo di troppo: in ogni caso una lezione di cinema allarmato e allarmante, così poco "italiano" da avvincere...

Roberto Pugliese - Il Gazzettino

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LUX - ottobre 2009

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