Ernesto
di Salvatore Samperi - Italia 1979 - 1h 35'

  

Questo nuovo lavoro del regista padovano, tratto da un romanzo incompiuto e postumo di Umberto Saba, ha soddisfatto solo in parte la critica specializzata che, pur riconoscendogli un'eleganza formale quasi troppo viscontiana, gli rimprovera il proverbiale 'tradimento' operato nel tradurre cinematograficamente un testo letterario.
Così mentre Saba nel 1953 raccontava con garbo e finezza psicologica la scabrosa (e definitiva) iniziazione omosessuale di un diciottenne praticante di commercio, Ernesto (Martin Halm), che passa dalle ruvide carezze di un facchino di porto (Michele Placido) alle languide occhiate di un giovanetto della buona borghesia triestina, Samperi prolunga con fantasia personale il soggetto e fa oscillare la 'deviazione' di Ernesto tra stabilizzata assuefazione e momentaneo sbandamento, insinuandogli un desiderio di normalità che lo conduce a fidanzarsi con la gemella dell'efebico amichetto. Se dai conoscitori del testo originario, sorgono giustificate riserve per l'arbitrarietà della trasposizione proposta (c'è anche uno spostamento di data - dal 1898 al 1911 - per giocare sulla macchietta del datore di lavoro, il signor Wilder - Turi Ferro - che vorrebbe parodiare la figura di Italo Svevo), non è tutto oro quel che luccica (e lo splendore, tra concertini folkloristici e caldi paesaggi adriatici, è notevolmente suggestivo) neppure per lo spettatore comune, che si trova di fronte ad una storia 'sconveniente' trattata con mano non pesante, ma non convincente proprio perché in bilico tra una fenomenologia tutta sessuale, ma non lascivamente spettacolarizzata in immagini, ed un discorso psicologico di fondo solo abbozzato per non invadere l'ambiguità estetizzante del tutto.
Pur con qualche frecciata alle ipocrisie ed ai vantaggi del conformismo borghese, Samperi sembra insomma pascersi più dei quadri ottocenteschi che delle tensioni sociali, la sua ironia si ferma al sapore di 'burro e cacao' (chi vedrà capirà) e c'è da rimpiangere non solo la verve polemica di
Grazie zia e Cuore di mamma, ma anche la sensualità corposa di Malizia. Facendo via via del sesso una costante che da mezzo esplicativo passa a fine più commerciale che provocatore, il nostro ha toccato, negli anni, la suscettibilità dei benpensanti ed il portafoglio del pubblico sensibile al prurito anticonformista. Ora, persa la trivialità scanzonata del periodo-Toffolo (Beati i ricchi) ed ottenuto il riconoscimento della sua sensibilità adolescenziale (Nené), Samperi sembra palpitare più per l'opportunismo che per la spontaneità, con il risultato che in questo Ernesto il calligrafismo e la ricerca letteraria dotta, ma stagnante, lo tengono ancora lontano da quella grinta dissacratoria che, sul finire degli anni sessanta, lo aveva imposto (con Marco Bellocchio) all'attenzione degli appassionati del cinema italiano.

e.l. CM 36 - quarto trimestre 1979