Faust
Alexander Sokurov - Russia 2011 - 2h 14'

Leone d'oro - Venezia 68

    Il personaggio di Faust, in questa bellissima e visionaria trasposizione del testo di Goethe del regista russo Sokurov, ci viene mostrato nella prima sequenza con una soggettiva che dal cielo scende sul dettaglio delle mani impegnate a brancicare ed estrarre gli organi interni di un cadavere dissezionato, alla ricerca dell’anima, sulla cui assenza egli discute con il fedele assistente Wagner. Un’immagine potente, fatta di colori sporchi, di umori putrefatti, di odori, che preannuncia quella che sarà l’estetica dominante dell’intero film e nello stesso tempo enuncia una netta presa di distanza dalla rigidità e dalla fredda frontalità contemplativa dei tre film precedenti della tetralogia. Come passare da un museo delle cere ad un quadro di Bosch.
“Il
Faust è l’ultima parte della tetralogia sulla natura del potere – dichiara
film precedente in archivio Sokurov film successivo in archivioI personaggi centrali dei tre film precedenti erano persone realmente esistite: Hitler (Moloch 1999), Lenin (Taurus 2000) e Hirohito (Il sole 2005). L’immagine simbolica di Faust conclude la galleria dei ritratti dei grandi “giocatori” che hanno perso le più importanti “partite” della loro vita. Tra questi ritratti il Faust sembra fuori posto. Un eroe quasi da museo, un eroe letterario nella cornice di una storia abbastanza semplice. Che cosa ha Faust in comune con le figure degli altri personaggi storici, portati ai vertici del potere? L’amore per le parole a cui si crede con tanta facilità ed una patologica infelicità nell’esistenza quotidiana.”

Faust dunque è il personaggio che, proprio perché non appartiene alla Storia ed è privo della nozione dell’origine teologica del potere, si muove senza paura nella sua ricerca ideale, trascinandoci in un percorso inverso rispetto a quello dei film precedenti, dove chi si presumeva divino, veniva smascherato, riportato in basso, alla sua origine umana. Faust invece ci schiaccia verso il basso, dal cielo alle viscere, ma per riportarci su, in un doppio movimento discensionale/ascensionale. Nel finale del film inizia la marcia trionfale di Faust nel mondo: egli si allontana, per divenire…un tiranno, un politico, un oligarca? Rispetto al monumentale testo goethiano, Sokurov sceglie infatti di raccontare la parte che precede la stipula del contratto col diavolo. Il suo Faust costituisce, nelle intenzioni espresse dall’autore, una sfida al Faust di Goethe: “è un uomo anonimo, spinto dagli istinti più semplici: la fame, l’ingordigia, la lussuria. Una creatura infelice e maltrattata che lancia una sfida: perché fermare l’attimo, se si può andare oltre?”
Sokurov privilegia dunque la sfida della conoscenza: l’ansia di sapere del suo Faust si traduce, nelle immagini, in un continuo muoversi del personaggio, senza mai trovare pace, una pace che forse non vuole trovare, perché, fermarsi di fronte all’attimo appagante, significa cedere al patto col diavolo. E se l’apparizione di Margherita sembra bloccarlo, per un attimo appunto, presto anche la bellezza della fanciulla viene dimenticata, in nome del tormento della conoscenza.
Faust è un giocatore d’azzardo, un istrione, che finirà per cedere al ricatto di Mefistofele, firmando il contratto, peraltro zeppo di errori grammaticali che egli sprezzantemente correggerà, ma per ignorarlo subito dopo come carta straccia.
Di fronte a lui Mefistofele appare come un “povero diavolo”, rimasto indietro coi tempi, che, convinto che l’anima esista, si ostina a voler comprare quella pregiata dello scienziato Faust. “Oggi le anime costano poco e soprattutto non c’è nessuno che le voglia comprare. L’unico rimasto a credere in Dio è il diavolo” commenta ironicamente l’autore.
Lontanissimo dall’immagine stereotipata di un Mefistofele operistico, drappeggiato in un mantello nero, con la barbetta a triangolo, il diavolo di Sokurov, (nella coraggiosa interpretazione del celebre mimo, coreografo e rockettaro siberiano Anton Adasinskiy) è un ciarlatano, che di professione fa l’usuraio, goffo e sciancato, con un corpo deforme fatto a pera, radi capelli rossicci, un pene collocato dalla parte sbagliata, che soffre di mal di pancia, emette flatulenze in continuazione e va a fare i suoi bisogni in chiesa. Si incolla a Faust e lo segue faticosamente nel suo girovagare per una città infernale, dove polvere, buio, marciume rivestono tutto di una patina grigio-marrone. Il muoversi veloce della macchina da presa, a tratti usata a mano, insegue i due personaggi in una sorta di “danse macabre” in questa indimenticabile ricostruzione di una città, segnata da secoli di cultura figurativa, da Bosch all’espressionismo.
Laddove Murnau
film precedente in archivio aveva operato dissezionando lo spazio, Sokurov sembra voler far entrare tutto dentro l’inquadratura, sempre piena, debordante, spesso sghemba: cadaveri dissezionati, viscere putrefatte, deformità, nudità, corpi lebbrosi, feriti, case luride, bettole infestate dai topi, dove su tutto sembrano aleggiare odori e afrori, evocati in modo così efficace, che in platea sembra di sentirli. È il primo film che sollecita nello spettatore anche il senso dell’olfatto, come è stato da più parti sottolineato.
Nella sua concezione aristocratica di cinema, Sokurov realizza un film d’Autore, con la maiuscola, grande quanto sgradevole, che richiede allo spettatore il massimo di disponibilità e che ci ricorda come il Bello e il Sublime passino anche attraverso il loro opposto, la degradazione, la contaminazione con ciò che è basso, sporco, impresentabile.

Cristina Menegolli - MCmagazine 31 - ottobre 2011

promo

Mefistofele cerca di portare sulla via della perdizione l’integerrimo medico e teologo Faust, un uomo fiero delle proprie capacità di discernimento e delle propria rettitudine. Il diavolo convince l’uomo a barattare la propria anima in cambio di maggior sapienza e di un piacere forte, in grado di fargli desiderare di fermare quell'attimo, che prenderà presto le sembianze della giovane Gretchen... Il nuovo Faust è dipinto sullo schermo come un Brughel desaturato, filologicamente impeccabile nel riferimento a Goethe, fatto di quella pasta di cui sono fatti i sogni sukoroviani, intrisi di humus letterario e corposità figurativa. Leone d'oro a Venezia.

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