Il fuggiasco
Andrea Manni - Italia 2002 - 1h 37'

da La Stampa (Lietta Tornabuoni)

       Il   cinema i taliano  esplora le storie  oscure del nostro passato  recente.  Errori  giudiziari  ne  sono sempre  accaduti,  ma  Il fuggiasco, diretto con sicurezza e passione da Andrea Manni, romano, 45 anni, racconta qualcosa di più: un caso limite di ingiustizia all'italiana, in cui si sommano pregiudizio politico della polizia e inefficienza indifferente della magistratura. Una condensazione che può ripetersi in ogni momento e rivelarsi letale per la vita delle persone.
Nel 1976 a Padova Massimo Carlotto
film successivo in archivio, diciottenne militante di Lotta Continua, venne accusato di un omicidio su cui doveva soltanto testimoniare. Nel 1993 venne graziato dal presidente della Repubblica Scalfaro. Durante 17 anni subì 11 processi equivalenti a 96 chili di documenti giudiziari; passò 6 anni in carcere; per 5 anni fu esule e fuggiasco a Parigi, a Barcellona, a Città del Messico. Adesso ha 47 anni, vive a Cagliari. Nel 1995, sostenuto da Grazia Cherchi, ha pubblicato «Il fuggiasco» (da cui il film è tratto) per la casa editrice e/o presso la quale sono usciti altri sei suoi romanzi vincitori di premi e tradotti in diversi Paesi. Oltre l'esasperazione di Carlotto, il film racconta molto bene l'oppressione della clandestinità, la perdita di identità, l'assenza di futuro («Che faccio della mia vita?»), il logorarsi degli affetti anche più saldi, la forza della solidarietà fra sradicati, l'angoscia inflitta alle persone amate. E la privazione della libertà, il carcere senza sbarre: è esemplare la sequenza in cui il protagonista su una spiaggia isolata di fronte al mare urla il proprio nome come per recuperarlo, per recuperarsi. Daniele Liotti, sobrio, scorato eppure speranzoso, coglie da bravo attore l'occasione giusta che gli viene infine offerta; Alessandro Benvenuti è perfetto nella parte di un avvocato difensore altruista e tenace. Tutti gli interpreti sono del resto adeguati e bravi, nel film serio e ben riuscito, a suo modo appassionato.
 

da La Repubblica (Paolo D'agostini)

      Il protagonista di questo film che ha lo stesso titolo del primo romanzo di Massimo Carlotto dopo la fine della sua odissea giudiziaria, è Carlotto stesso. Interpretato (con una maturità prima sconosciuta) da Daniele Liotti. Quello che dalla metà degli anni 90 è noto come l'inventore del detective che si fa chiamare Alligatore, amante del calvados come Maigret, e come uno dei più promettenti scrittori di noir italiani (la sua casa editrice è e/o), era uscito con la grazia concessa dal presidente Scalfaro nel '93 da un calvario iniziato molti anni prima. Diciottenne padovano quando la città era il fulcro dell'estremismo di sinistra, attratto anche lui nell'orbita dei gruppi extraparlamentari di sinistra, Massimo fu incolpato di un delitto non commesso - niente di politico - solo per essere stato così imprudente da presentarsi ai carabinieri a testimoniare su ciò che aveva visto sulla scena dell'assassinio dove, con l'imprudenza di chi non ha nulla da temere, aveva seminato le proprie impronte. Il seguito è fatto di vari gradi di giudizio, di conferma di una pesantissima condanna, di fuga all'estero, di latitanza prima a Parigi poi a Città del Messico, di ritorno in galera, di malattie, di pena dei genitori, di perdita degli affetti, della perseveranza di un avvocato che non l'ha abbandonato mai. Finemente interpretato da Alessandro Benvenuti nel film. È il film di un quasi esordiente ma svelto e incalzante nel ritmo e carico di passione genuina.

TORRESINO - dicembre 2003