Happiness
Todd Solondz
- USA 1988 - 2h 20'

  New Jersey, "Garden State": a pochi minuti da Manhattan sembra esserci la felicità. Un piccolo Stato-giardino, disseminato di casette linde, abitato da famigliole tranquille, lontano dagli incubi del Central Park e ancora vicino, molto vicino al "sogno americano". Che però, come ci hanno insegnato schiere di sceneggiatori e registi, da tempo si è trasformato in un vero e proprio incubo. E il New Jersey, ovviamente, non fa eccezione. Anzi, in Happiness, di film precedente in archivio Todd Solondz film successivo in archivio, è addirittura un girone infernale, l’esatto contrario di quanto il titolo ("Felicità", appunto) sembri suggerire. Niente di nuovo sotto il sole, si dirà. Sorpresa: Solondz, consapevole di raccontare la solita storia, ammannisce una pietanza che più indigesta non si può. Un solo filo conduttore, il sesso, in tutte le possibili patologie distruttive. Un gioco al massacro, in cui nessuno si salva. Ecco, di seguito, un parziale elenco dei condannati. Innanzitutto le tre giovani sorelle, attorno alle quali gira la maggior parte degli avvenimenti. La "rampante", scrittrice di romanzi porno, vaga di partner in partner sognando di essere violentata (avrà così materiale di prima mano per i suoi libri); la "realizzata", mogliettina borghese con tre figli, frigida e cattiva, non si rende conto che il marito psicoanalista è uno stupratore di ragazzini; la "svampita", insegnante per stranieri, si fa trattare a pesci in faccia da uomini e donne, inseguendo la chimera del titolo.

Luigi Paini - Il Sole-24 Ore

   ...La felicità dichiarata nel titolo è il capovolgimento dell'infelicità mostrata nelle immagini, o almeno da esse suscitata [...] Di fronte alla pedofilia di Bill, Solondoz si mostra incapace di simulare, di dare "forma cinematografica" alla miseria e alla sofferenza. Semplicemente, le rappresenta attraverso gesti e parole che il suo sguardo non elabora, ma solo riproduce. Che fine hanno fatto la sintesi, l’allusione? Un banale realismo le ha soppiantate. Alla forza espressiva indiretta dell'ironia la sceneggiatura e la regia hanno sostituito l'efficacia immediata e piatta della rappresentazione. Qualcuno se ne scandalizza, altri ci vedono una dirompente eversione visiva. Ma forse si tratta solo della resa del cinema di fronte alla miseria e alla sofferenza della vita. Se si vuole: si tratta solo del venir meno d'un punto di vista morale, di compassione o di condanna che sia. Che il moralista, vinto dalla sua stessa pena, cerchi rifugio in una sorta di nichilismo dello sguardo? In ogni caso, quella che ci domina in platea è una pena cupa, intristita.

Roberto Escobar- Il Sole-24 Ore

   Dietro le casette di bambola del New Jersey, dove è nato il regista off Todd Solondz, si nasconde una profonda infelicità, una collaudata solitudine che parte dal sesso, come hanno già spiegato il prof. Altman e il prof. Allen. Happiness, opera seconda di un autore già "maledetto", è infatti disperatamente ironica: nessuno tra quelli che compaiono in questo film può dirsi felice. Se la mamma sorride come una caricatura di Doris Day, il figlioletto è alla scoperta della sua sessualità (clamoroso esempio di fai da te, usa il proprio seme per attaccare foto alle pareti), mentre il papà, analista integerrimo, ha il vizietto di molestare i compagnucci del figlio, cui tenta di spiegare come e perché, mentre passano per casa nonni e sorelle infelici.
Non fidatevi delle scorciatoie scandalistiche,
Happiness è ben di più di una commedia pedofila. Mai sentito parlare di "pietas"? Per quanto e cosa è ancora disposto a scandalizzarsi il pubblico yankee dopo il caso Clinton? Che felicità, il sogno americano è un incubo hard. L'urlo di disperazione del regista si sente forte e chiaro. Happiness, in equilibrio delicato tra dramma e commedia, è lo straordinario ritratto in nero di un paese allevato a flebo di tv che si ostina ancora a desiderare la felicità .
Dopo
Fuga dalla scuola media, insistendo sul capitolo "famiglia", Solondz mette in scena un teatrino d'interni spaventoso, quindi bisognoso di cure, drammaturgiche e cinematografiche, a tinte morte, com'è morta la coscienza: Solondz invita a riflettere, anche con ironia, su una voragine di punti interrogativi. Qualcuno ride, l'altro si arrabbia: il regista simpatizza per entrambi.

Valerio Caprara - Il Mattino

promo

Altro che felicità, altro che american beauty, Happiness, dell'inpendente Todd Solondz, traspira cattiveria e cinismo ma non pietas. Di fronte a noi i mostri quotidiani di una famiglia "normale" della media borghesia americana, il cui primo comandamento è l'ipocrisia. Se guardati a vista con una lente si scoprono vizi e peccati veniali e basilari, con una licenza per il sesso d'ogni ordine e grado, pure pedofilo. Uno dei film più tragici sulla civiltà dei non valori.

 

TORRESINO - aprile 2010