Hungry Hearts
Saverio Costanzo - Italia 2014 - 1h 49'

concorso - VENEZIA 71
COPPA VOLPI agli interpreti



    Saverio Costanzo, quattro anni dopo La solitudine dei numeri primi, presenta alla Mostra del Cinema di Venezia Hungry Hearts, film che conferma, e non solo per l'ambientazione, come la lunga formazione del regista negli USA lo renda immune dal provincialismo di certo cinema italiano. L'incipit è  fulminante: i due giovani protagonisti rimangono chiusi nel microscopico bagno di un ristorante cinese di New York e, condividendo miasmi e claustrofobia, entrano in una intimità che prelude all'amore. Tra Mina (Alba Rohrvacher), italiana che lavora in ambasciata, e Jude (Adam Driver), giovane ingegnere americano, c'è intesa: l'arrivo inaspettato di un figlio mette in difficoltà lei, ma Jude non ha dubbi e i due si sposano. Mina inizia a concentrare sul figlio aspettative straordinarie (una veggente le ha predetto che sarà un bambino speciale, un bambino indaco) trasformando il suo credo alimentare (è vegana) in una catena di fobie: l'appartamento in cui i tre vivono diventa una fortezza iperprotettiva chiusa al mondo e l'alimentazione del figlio (che per essere purificato viene nutrito a semi e vegetali) diventa il terreno di lotta tra i due genitori. Quando la malnutrizione del piccolo minaccia la sua sopravvivenza, lo scontro coinvolge anche la madre di Jude , con svolte senza ritorno.
Saverio Costanzo affronta l'adattamento del romanzo Il bambino indaco di Marco Franzoso scegliendo la chiave del genere thriller con sfumature horror, e riesce nel suo intento. Usando bene la scenografia (gli arredi parlano come in un film di Hitchcock) e le inquadrature (colpiscono i primi piani intensi dei protagonisti), il regista crea uno spazio filmico inquietante in cui gli sguardi e le parole, nella loro banalità, riescono a mettere i brividi. L'intento diventa forse troppo esplicito con l'uso di un obiettivo deformante , ma Rosmary Baby non è certo l'unica fonte citata dal regista. Si fa notare e può far discutere la colonna sonora, curata da Nicola Piovani. Al di là delle parti più convenzionali, con sonorità tipiche del genere, le musiche puntano ad un forte effetto di enfasi o di dissonanza rispetto alle immagini: non tutte le scelte sono felici, , ma certo raggiungono l'obiettivo di rendere disturbanti anche le scene più apparentemente serene.
Certo l'opera poggia in buona parte sull' ottima prova dei due attori, premiati entrambi a Venezia con la Coppa Volpi per la migliore interpretazione. Se Adam Driver apporta al film soprattutto la naturalezza e la freschezza di un volto non stereotipato, Alba Rohrvacher riesce a rappresentare bene la passività aggressiva di Mina, lasciando sempre aperta la strada alla credibilità, se non alla comprensibilità, del personaggio. Il punto debole del film, ma potrebbe essere anche il suo pregio, sta forse nell'oscillare tra due strade nell'interpretazione della vicenda. Costanzo sembra interessato a rappresentare, nell'estremizzazione della situazione, la dinamica attraverso cui i conflitti della quotidianità vanno allontanando e disgregando una coppia. Nella prima parte sentiamo come spettatori i dubbi, la fragilità, il disagio nello stare in mezzo agli altri di Mina, e questo ci porta ad evidenziare il mancato ascolto di tutto ciò da parte di Jude. Dietro l’estremità del comportamento di Mina, che interroga veggenti e si affida alla alimentazione vegana come ad una dottrina salvifica, c’è evidentemente una fragilità , un cumulo di paura che non è riuscita a comunicare o che nessuno ha ascoltato o compreso. C’è una chiusura in un proprio mondo di riti e compensazioni, cui l’altro diventa sempre più estraneo, fino a trasformarsi nel nemico. Nella seconda parte del film la focalizzazione si sposta però su Jude e noi sentiamo la sua disperazione e la sua impotenza di fronte alla impermeabilità di Mina, alla follia che avanza. La ragione e l'affetto appaiono deboli di fronte a una forma di amore malato, che può diventare feroce. E il finale è doppiamente emblematico in questo senso.

Licia Miolo - ottobre 2014 - pubblicato su MCmagazine 36