Kill Me Please
Olias Barco - Belgio/Francia 2010 - 1h 35'

Miglior Film del Festival di ROMA

   Un minaccioso e funereo bianco e nero per raccontare di una delirante e tranquilla casa di cura dove si pratica, col sostegno pubblico, un festoso e costoso trapasso medicalmente assistito. Una storia che parte col tono grottesco e via via diventa una tragedia con i personaggi sterminati uno dopo l’altro, dal caso imprevedibile, dal delirio di un cecchino, dall’assurdità terroristica, dalla follia assassina, soprattutto dal gesto suicida e dal rito del suicidio assistito. Il film belga del quarantenne e a noi sconosciuto regista francese Olias Barco, Kill Me Please non commuove, fa ridere come la più nera e assurda delle commedie splatter, e certo ci porta a pensieri politicamente scorretti anche se per niente bigotti. Anche perché alla fine è la morte a riprendere il sopravvento.

Roberto Nepoti - La Repubblica

   Il Belgio è uno strano Paese. Bellissimo e diviso, un po’ come l’Italia. E, pur con un senso dell’umorismo molto diverso - lì al Nord c’è più cinismo e gusto del politicamente scorretto - sa sdrammatizzare senza se e senza ma. In più sa ridere della morte con selvaggia lucidità. Kill Me Please è una delle scoperte del Concorso del Festival di Roma 2010 e, non a caso, l’ha vinto. Un bianco e nero vivido e sporco, una fotografia che, di fatto, è una seconda regia, un cast perfetto dove tutti giganteggiano in una bizzarra prova d’orchestra. E non provate a tirare per il camice il nuovo Dr. Morte, per questo buffo Kruger che ha deciso di creare e dirigere una clinica votata al suicidio assistito e consapevole dei propri pazienti. Una buona morte, perché scelta nei tempi e nelle modalità preferite, una buona morte perché vivere - ce lo ha insegnato Mario Monicelli - è anche scegliere come e quando morire. Visto il film, come avvenne per Juno - in quel caso sull’interruzione di gravidanza - ci sarà la rincorsa ad annettersi” quest’opera unica e geniale: i "pro-life" troveranno nel finale un motivo di consolazione e conferma delle loro idee più o meno bigotte, i sostenitori dell’eutanasia troveranno nell’intero film un irriverente e sensibile racconto che saprà far riflettere. Ma questo è solo grande cinema, con un grande regista - Olias Barco non sbaglia praticamente nulla, e i tranelli erano tantissimi - e attori perfetti, da Aurélien Recoing a Benoît Poelvoorde, outsider raffinatissimi. La clinica in questione, clandestina, rintracciabile solo in Rete, cerca di dominare l’autodistruzione, non negandosi l’ultima via d’uscita, in caso di fallimento. E lo Stato la sovvenziona! Se Bergman con la morte ci giocava a scacchi, qui la si prende in giro, la si rispetta, la si onora e la si combatte, la si rincorre e la si fugge. E se potessimo vederla e parlarci sarebbe come quella di L’armata Brancaleone (i pazienti altro non sono che questo). Una pellicola speciale che vi farà... morire dalle risate.

Boris Sollazzo - FilmTv

   Vincitore (facile) dell'ultimo Festival di Roma, Kill Me Please del francese Olias Barco è un grottesco, lucidissimo delirio sul suicidio assistito che tiene in vita il grande cinema. Tra farsa e ironia, il regista ci porta in una clinica specializzata in trapasso, diretta dal dottor morte Krueger e popolata da depressi, falliti, malati terminali, schizzati. L'umanità è varia, ma qui parrebbe accomunata dal desiderio di farla finita: problema, l'istinto di sopravvivenza dove lo mettiamo? Ne succederanno di tutti i colori, nonostante il film sia in bianco&nero, perché è un dramma da camera (da bara?) dove la morale rimane alla finestra e lo humour sale a patti con la storia: l'importante - sostiene Barco - è raccontarsi fino alla fine, andare in scena oltre l'osceno. Se siete pronti a morire dal ridere, è il vostro film, altrimenti, rimane (solo) un capolavoro.

Federico Pontiggia - Il Fatto Quotidiano


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Un minaccioso e funereo bianco e nero per raccontare di una delirante e tranquilla casa di cura dove si pratica, col sostegno pubblico, un festoso e costoso trapasso medicalmente assistito. Una storia che parte col tono grottesco e via via diventa una tragedia con i personaggi sterminati uno dopo l’altro, dal caso imprevedibile, dal delirio di un cecchino, dall’assurdità terroristica, dalla follia assassina, soprattutto dal gesto suicida e dal rito del suicidio assistito. Ne succedono di tutti i colori, nonostante il film sia in bianco&nero, perché è un dramma da camera (da bara?) dove la morale rimane alla finestra e lo humour sale a patti con la storia: l'importante - sostiene il regista - è raccontarsi fino alla fine, andare in scena oltre l'osceno. Se siete pronti a morire dal ridere, è il vostro film, altrimenti, rimane (solo) un capolavoro.

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