L'innocenza del peccato (Le Fille coupée en deux)
Claude Chabrol - Francia/Germania 2007 - 1h 55'

Venezia 64° - Fuori concorso


     Non è una novità: ci sono diversi tipi di pubblico, i quali, in particolare con certi film, non troveranno mai un accordo nel giudizio e una soddisfazione simile nel risultato della loro visione. I film in questione sono quelli degli autori importanti, (ri)conosciuti, dalla filmografia lunga e complessa, dei maestri, come ricorda giustappunto la sezione veneziana nella quale rientravano quest’anno figure come Woody Allen (Cassandra’s dream), Manoel de Oliveira (Cristovao Colombo – O enigma), Im Kwon Taek (Beyond the years), Takeshi Kitano (Glory to the filmmaker!), Julio Bressane (Cleòpatra). Le divergenze del pubblico invece, sono, come in questo caso, manifestate da un manicheismo delle aspettative, esercitato dall’attesa del nuovo, sconosciuto, misterioso, lavoro di colui il quale molte volte in precedenza è riuscito a emozionare, sorprendere, plasmare forme grazie al cinema. Perciò: c’è chi persegue l’idea del valore categorico della novità come innovazione e diversità (il mai visto), e c’è chi parsimoniosamente si accontenta di cogliere il più possibile (positivo e negativo) dall’unicità dell’opera, senza troppe dietrologie nel proprio magazzino di immagini raccolte nel tempo.
Cosa di può dunque dire del film di un autore (e maestro) come
Claude Chabrol? La Fille coupée en deux (letteralmente, la ragazza tagliata in due) è una storia sul complesso connubio tra amore e tradimento: una ragazza che vuole avere successo nella vita e la cui radiosità seduce chiunque le stia accanto, si innamora di uno scrittore celebre ma perverso e sposa un giovane milionario psicolabile. Si tratta chiaramente di un triangolo, le cui sorti sono tutte affidate al potere ammaliatore della bella Gabrielle, fulgida incarnazione di un aperto conflitto tra due mondi, due impulsi, due desideri, due uomini, ma una sola vita, e un solo corpo. Un dissidio interiore che la sagacia di Gabrielle non riesce a gestire, incapace di contrastare la passione insopprimibile e rabbiosa per il vecchio scrittore, fruitore e fautore deviato e irriconoscente della lascivia alla quale la fanciulla si abbandona senza timore. Una relazione, questa, clandestina, innegabilmente senza futuro, che il rampante corteggiatore, damerino buffo ed effettato, non può sopportare né contrastare con l’influenza del denaro. L’epilogo non può che sfumare al giallo e poi al nero, nonostante quest’ultimo non perda tempo per mostrarsi in più occasioni. E l’ultima drastica sequenza sembra molto più che una facile scappatoia, quanto piuttosto una condensazione spettacolare, poiché la ragazza divisa psicologicamente, eleva a soggetto l’intima condizione esistenziale, divenendo apparato scenografico fantastico, perentoriamente e visibilmente scisso.
È chiaro che la disposizione della fabula relazionale determina un intricato e imprevisto crescendo di sentimenti descritti da Chabrol con tanta e tale finezza, precisione, intensità, e contegno di forma e sensibilità da risultare sublime. Una caratteristica non nuova, ma infinita, perché non c’è limite alla produzione di storie e ogni storia – così come ogni atto linguistico – è diverso da se stesso a ogni sua nuova creazione.
Solo attraverso l’opposizione attuata dalle apparenze si determinano le verità dei personaggi: nella pelle pallida e nelle forme e nel viso pieno di grazia di Ludivine Sagnier coupée en deux è racchiusa una carica erotica sconvolgente e fagocitante; e tramite l’eleganza e il pudore dei modi della borghesia intellettuale viene suggerito il contesto di uno sfondo e una società ombrosa, dissoluta e inquietante. “La perversità è l’arte di trasformare il bene in male.” Così la noia e l’assuefazione, tipica di spettatori voraci e pressapochisti, sono lo stimolo per trasformare il bello in brutto. .

Alessandro Tognolo - MC magazine 20  settembre 2007

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