Una lunga domenica di passioni (Un long dimanche de fiançailles)
Jean Pierre Jeunet - Francia/USA 2004 - 2h 14'


sito ufficiale

da La Repubblica (Roberto Nepoti)

     I francesi si sono specializzati nel "blockbuster d'autore" europeo: realizzano film che mettono assieme un marchio personale, ambizioni e il richiamo spettacolare per il grande pubblico. C'è di tutto un po' in Una lunga domenica di passioni: il film di guerra e la storia d'amore, l'indagine e il melodramma, la fantasticheria e il quadro d'epoca. Un puzzle che varia dalla magniloquenza all'intimismo, ma amalgamato dal respiro potente del romanzesco e con dentro tutte le ossessioni del cinema di Jean-Pierre Jeunet (da Delicatessen a Il favoloso mondo di Amélie). Durante la prima guerra mondiale Manech, adolescente inebetito dall'orrore, è stato mandato a far carne da cannone nella Somme. Lo hanno dato per morto al fronte; però Mathilde, la sua innamorata, rifiuta la versione ufficiale e parte a cercarlo, decisa a combattere una piccola guerra privata contro la Grande Guerra. Ha il viso da Campanellino e un'ostinazione inattaccabile: chiunque l'incontri ne resta prigioniero. La sua sensibilità scorticata, la sua fede e il suo romanticismo evocano, per forza, Amélie; di cui più d'uno l'ha già definita la nonna virtuale. E tuttavia, se il film sembra tagliato su misura per la Tautou, non bisogna dimenticare che Jeunet progettava di portare sullo schermo il romanzo di Sébastien Japrisot da oltre dieci anni, con largo anticipo sull'"avvento" di Audrey nel suo cinema. Lungi dal riassumersi nella sola eroina, Una lunga domenica... è un susseguirsi di sequenze debordanti d'inventiva, servite da una direzione maestosa e da una fantasia poetica senza risparmio. Le scene delle trincee ti scavano solchi nella memoria; la Parigi degli anni Venti, ricostruita con l'aiuto di tecniche digitali, è una combinazione di grazia ludica e di malinconia; enciclopedica, la cura dei dettagli non teme confronti...

da Il Sole 24 Ore (Roberto Escobar)

     Nel piombo del cielo e nei marroni della terra intrisa di pioggia, la macchina da presa scende lenta verso una trincea. Prima, però, appeso per la mano a uno spuntone che si confonde tra i cavalli di Frisia, scopre qualcosa che somiglia a un braccio. Scende ancora un po’, la macchina da presa di Jean-Pierre Jeunet. Quel braccio non è di un uomo. A penzolare in mezzo all’inferno è il moncone spezzato di un Cristo in croce, immagine delle centinaia di migliaia di poveri cristi inchiodati alla follia omicida di Verdun e della Somme. Non c’è più vita, sui due lati della terra di nessuno. Non c’è più futuro. Non c’è più passato. Non ci sono più storie, che non siano quell'inferno ripetuto per ogni vivo che attende di morire, ognuno come ogni altro. Così comincia Una lunga domenica di passioni. Poi, con la macchina da presa ormai dentro la trincea - tra due file di fantasmi che cercano nel fango un rifugio impossibile dal freddo, dalla pioggia, dalle mitragliatrici -, cinque di quelle storie negate emergono dall’assurdo. Un ruffiano, un falegname, un saldatore, un contadino: altri soldati li stanno portando a morire. Con loro c’è un ragazzo, Manech (Gaspard Ulliel), che non ha ancora 18 anni. La colpa che stanno per pagare è d’aver tentato di fuggire via dall’inferno. Diserzione e tradimento, così ha deciso il tribunale militare. E Philippe Pétain ha disposto che siano gettati al di là della linea del filo spinato, nella terra di nessuno. Inutilmente la voce-fuori campo tenta di raccontarcele, le loro storie. Inutilmente la regia e la sceneggiatura - di Jeunet e Guillame Laurant, da un romanzo di Sébastien Japrisot - ce ne mostrano i colori, l’unicità irripetibile. La guerra le ha spazzate via, le ha disperse come un colpo di vento ha fatto con il fieno del contadino, il giorno che fu costretto a partire per il fronte. Eppure, almeno per Manech, quei colori e quell'unicità non sono del tutto. perduti. Li custodisce nella memoria e nella speranza la sua tenera, fortissima Mathilde (Audrey Tautou). Attraverso di lei, attraverso i suoi grandi occhi incantati, Jeunet fa di Una lunga domenica di passioni un trionfo della narrazione. Così come la guerra uccide le storie, e tutte le riduce alla medesima irrilevanza, l’amore di Mathilde le suscita, le moltiplica, le intreccia e in platea si fa bene a lasciarsene travolgere, senza domandarsi come in uno stesso film possano stare trincee colme di morti, albatros in volo nel vento di Bretagna, prostitute ribelli e vendicatrici. paesi assolati e taciturni di Corsica, zu amorevoli e apprensivi, fruttivendole polacche delle Halles, poliziotti privati più furbi d’una fama, postini allampanati e orgogliosi della loro bicicletta, avvocati di buon cuore. E anche si fa bene a non domandarsi come Jeunet possa n~iettere insieme realismo e invenzione fantastica, tragicità e commedia, Storia e intreccio poliziesco. Ancor meno ci si deve stupire se nel suo film rimanda, tra gli altri, al Bertrand Tavernier di La vita e niente altro (1989) e di Capitan Conan (1996), e insieme al François Truffaut di Jules e Jim (1962) e al sommo Jacques Tati di Giorno di festa (1949), oltre che al se stesso di Il favoloso mondo di Amélie (2001). Questa molteplicità ricca di immagini, di stili, di prospettive sembra non essere che un “risarcimento” che la regia deve a sé e a noi, un contrasto felice del triste vuoto di passato e di futuro su cui Una lunga domenica di passioni si apre. Sospesa fra lutto e speranza, Mathilde sa che il suo Manech l’aspetta in un luogo certo sconosciuto, ma con uguale certezza posto all’incrocio di qualcuna delle molte storie che sono state spezzate, tutte insieme, oltre la linea del filo spinato. E allora ne segue le tracce sottili. Ne dipana i fili incurante che si spezzino, e che addirittura finiscano per condurla di fronte a una piccola croce con il nome di Manech. A sorreggere il suo futuro, e nonostante il suo presente, non c’è che il suo passato. Di che cosa può essere fatta la speranza, se non di memoria? Torce e manipola il tempo, la memoria. Gli dà colori, immagini e parole che forse non ha. Ferma il volo di un albatros, e l’aiuta a vincere il vento. Fa di un faro dimenticato in un angolo di Bretagna la vetta del mondo. E può trasformare il lutto in una lunga domenica di fidanzamento: Un long dimanche de fiançailles. Tutto potrà accadere, a Mathilde. Potrà ritrovare Manech, e potrà perderlo per sempre. Noi ora la lasciamo non al suo destino, ma alla sua storia, alla storia che si costruisce da sé, con tenera caparbietà. In ogni caso, la sua domenica sarà meravigliosa, e come quella di nessun altro.

da Il Corriere della Sera (Maurizio Porro)

     Racconto kolossale e corale, variopinto e divertente, con la Storia ricostruita in digitale e un accumulo di generi e di stili in equilibrio narrativo perfetto, un puzzle di mélo, cantastorie, fisarmonica nazionalpopolare, un' ombra di Tati e di Simenon. Scoppio di romanticismo puro in cui la Tautou fa dei suoi vezzi un forte manierismo espressivo, alla Prévert.

TORRESINO - marzo 2005