Memorie di una geisha (Memoirs of a geisha)
Rob Marshall -
USA 2005 - 2h 17'


miglior fotografia (DION BEEBE)
miglior scenografia (JOHN MYHRE, GRETCHEN RAU)
 


sito ufficiale

    Il cinema d’essai si affaccia sugli schermi natalizi con due titoli di evidente, contrapposta struttura. Da una parte il raffinato oleografismo di Memorie di una geisha, dall’altra la cruda incisività di A History of Violence. Per entrambi ritroviamo una fonte letteraria.
Più famosa e “polemica” la prima: il bestseller di Arthur Golden ha alle spalle più stesure (e dieci anni di lavoro) per arrivare alla narrazione in prima persona che lo caratterizza, legate proprio all’esperienza dell’autore, laurea ad Harvard e master in storia giapponese, inviato a Tokyo per una rivista britannica, affascinato dal mondo orientale, ma coinvolto in una disputa giudiziaria proprio da Iwasaki Mineko, la geisha che ha trovato svilente la rielaborazione letteraria della propria vita. Ulteriori peripezie per la trasposizione in pellicola con
Steven Spielberg che acquista i diritti del romanzo prima ancora della pubblicazione, ma che, per i troppi impegni di lavoro, si relega a produttore esecutivo e lascia alla regia al talentuoso Rob Marshall
film successivo in archivio (Chicago), il quale osa ridefinire la sceneggiatura e lo spirito rispettoso delle origini, porta il set negli studi californiani e, con spirito prettamente hollywoodiano, rielabora il progetto in lingua inglese e con dive cinesi e malesi: Zhang Ziyi (La tigre e il dragone e La foresta dei pugnali volanti), Gong Li (musa di Zang Yimou da Sorgo rosso a La triade di Shangai), Michelle Yeoh (La tigre e il dragone).
Su queste basi
Le memorie di una geisha si presenta come un’opera d’ambienti, psicologie e situazioni, un raffinato affresco che tratteggia a tinte via via più forti l’avventura di Chiyo sperduta bambina dagli occhi del colore del mare che, venduta dai genitori assieme alla sorella, trova il suo destino inesorabilmente intrappolato a Gion, il quartiere delle geishe di Kyoto. La sua ribellione è sterile, vani i suoi tentativi di fuga. Ciò che all’improvviso dà senso alla sua vita è l’incontro con un gentile signore che le offre un gelato. Da qui la decisione di diventare una vera geisha, la “sua” geisha.Occorre rendersi edotti del significato del termine per comprendere fino in fondo l’evoluzione del racconto e del personaggio. In una certa ottica della cultura giapponese le geishe vanno viste essenzialmente come “artiste” dedite a intrattenere gli uomini con canti, danze, musica e conversazioni. La sessualità resta ai margini, ma l’ambizione è quella di vendere al migliore offerente la propria verginità donando le proprie grazie ad un unico protettore, per tutta la vita.
Così l’apprendistato di Chiyo è tutto rivolto a riti di eleganza formale, dalla cerimonia del tè alla calligrafia, dai modi di versare il sakè, all’uso del ventaglio, dalla raffinatezza nell’esprimersi al linguaggio delle dita. Sulla strada per diventare Sayuri, la più famosa tra le geishe di Kyoto, ci sono la ruvida fermezza della proprietaria dell’okiya (la “casa”), gli illuminanti consigli dell’esperta Mameha (“Una geisha è capace di fermare il cammino di un uomo solo con uno sguardo” - ”La felicità che nella vita devi inseguire non è la tua”), la perfidia dell’invidiosa Hatsumomo, disposta a tutto pur di contrastala.

La figura dell’uomo d’affari, a cui la fantasia sentimentale di Chiyo-Sayuri ha ormai legato il suo cuore, resta sullo sfondo, ma è solo alla sua benevolenza che mirano tutte le azioni dell’affascinante geisha: tra le tante traversie della guerra (siamo negli anni trenta e quaranta), le ritrosie di affetti che non osano svelarsi e lo strazio di rapporti umani segnati dalla diffidenza e dal rancore, il sogno trova alfine concretezza, ma possiamo chiamare lieto fine quello a cui è destinata una geisha?

Prova a convincercene Rob Marshall con una formalismo figurativo di intrigante fascino (abbacinanti la scena della performance teatrale e il paesaggio dei multicolori giardini giapponesi), con un’impeccabile descrizione di usi e costumi (fotografia di Dion Beebe, scenografie di John Myhre), con la bellezza eterea e sottilmente sensuale delle sue protagoniste, ma i riti di una geisha hanno reconditi segreti ammaliatori, l’arte cinematografica di Memorie di una geisha rimane imbrigliata in un’autodisciplina comportamentale poco comunicativa, tende a restare un esercizio di stile asfittico, che dilata oltremodo i tempi e non dà profonda emozione.

ezio leoni - La Difesa Del Popolo  25 dicembre 2005