Mumford
Lawrence Kasdan
- USA 2000 - 1h 51'

da Film Tv (Aldo Fittante)

Nove film diretti in quasi vent'anni, di cui sette anche scritti: torna, dopo un lungo lustro di silenzio, uno degli autori moderni più sottovalutati, Lawrence Kasdan, il creatore del personaggio di Indiana Jones, del mitico e dimenticato Chiamami Aquila (l'ultima pellicola interpretata da John Belushi). Praticamente non considerato (più) negli Stati Uniti, e pallidamente difeso nella Vecchia Europa (Orso d'oro a Berlino '92 per Grand Canyon), Kasdan, escluse le sue peregrinazioni nel western, ha sempre narrato storie contemporanee, con al centro i tremiti "caldi" e "freddi" della sua generazione (i cinquantenni di oggi), smarrita e perplessa, anche se colta e raffinata (ha fatto il '68), pur se capace di integrarsi a meraviglia nel cuore della società nuclearizzata e globalizzata (i suoi personaggi sono - economicamente - dei "vincenti" e fanno lavori mai alienanti). Lo psicologo Mumford è uno di loro, e il film un Grande freddo meno amaro e più affettuoso. In una piccola città con il nome del titolo e del protagonista, alcune persone si rivolgono al nuovo analista e ne sono empaticamente coinvolte. Kasdan si diverte a prendere in giro la psicanalisi, ma lo fa con rispetto e pudore, amando - com'è sua abitudine - i suoi "interlocutori". Perché, come si sente dire, "tutti hanno il diritto di avere una seconda possibilità". Un'opera semplice ma articolatissima, da "segue dibattito". Attori in magica luce, sotto la direzione di un regista-sceneggiatore che scrive i dialoghi come pochi. "Per affrontare un medico bisogna rimettersi un po' in salute", diceva il poeta Franco Fortini. Ecco perché Kasdan concentra i suoi sforzi sulla guarigione dei suoi "clienti".  

da Il Manifesto (Mariuccia Ciotta)

Mumford è un impostore? Dispensa consigli preziosi, ma ha certi metodi così poco ortodossi... È una specie di Cupido, forma coppie, ne disfa altre infelici. È come uno sceneggiatore che cambia il copione, un Orson Welles che fa del falso il vero, F for fake, o un Frank Capra che manda angeli in provincia per salvare gli uomini da stessi. Un angelo contraffattore, caduto dal paradiso per eccesso di allucinazioni. Cocaina per l'esattezza. I suoi flash-back sparati in bianco e nero sul color pastello di Mumford sono un altro film. Visioni sintetiche, come la "donna ideale" che Skip, il genio dei computer, sta montando segretamente in laboratorio, un po' meccanica un po' digitale (come la protagonista del prossimo film di Soderbergh). Ma la "bambola" non può competere con la barista Lily (Alfre Woodard, Crooklyn di Spike Lee) perché tutta Mumford è un grande effetto speciale, una valle di Shangri-La, dove Kasdan come Capra invita tutti a vivere per sempre giovani per sempre belli.

cinema invisibile cinema Torresino febbraio-aprile 2001

per tamburini... La nostalgia che pervade il Mumford non quella del déjà vu temporale, bensì quella dell'utopia di un paese puro nel cuore e nelle intenzioni. Il protagonista che Kasdan descrive è un esemplare "psicanalista improprio" che non scardina solo le chiusure psicologiche dei suoi pazienti, ma diventa vero passepartout esistenziale di una società lacerata dalle proprie contraddizioni.