Naomi (Hitparzut X)
Eitan Zur - Israele 2010 - 1h 42'

Venezia 67 - Settimana Internazionale della Critica

    Tragedie della gelosia, il cinema non ce ne ha risparmiate. E per gli omicidi impuniti Crimini e misfatti ha fatto scuola. Ma siamo incompetenti (Woody Allen a parte), in madri ebraiche… Avremmo bisogno della consulenza di Moni Ovaia, ma in ogni caso c’è poca ironia in Naomi, di Eitan Zur, secondo appuntamento della Settimana della Critica. Siamo ad Haifa e Ilan, sessant’anni, affermato docente universitario di astrofisica, è roso dalla gelosia, tormentato dal tradimento. La sua giovane moglie Naomi, brillante illustratrice, scopa con Oded e gestisce la doppia relazione affiancando la tenerezza matrimoniale con una regolare frequentazione del suo amante. Valgono a poco i consigli di Kathy, la burbera madre (“hai voluto una bambolina di 28 anni?”), che lo invita a sopportare nell’attesa che tutto si plachi; Ilan va a casa di Oded, lo affronta e, preso dall’ira, lo uccide. L’omicidio diventa chiave di volta per scuotere il torpore esistenziale in cui la regia di Zur ha inizialmente immerso i suoi protagonisti. Vengono alla luce le irrisolte dinamiche familiari della giovinezza di Ilan. Una madre affettivamente assente, un padre innamorato e rifiutato che accetta e subisce i continui tradimenti della moglie pur di averla accanto a sé. Ed proprio Kathy, ora ottantenne, a prendere per le corna la situazione, aiutando il figlio a far sparire il cadavere (sotterrandolo astutamente in una fossa appena scavata per una conoscente al cimitero), convogliando quest’opera prima in un dramma di arguta suspence. Ilan sente crescere il senso di colpa, soffre vedendo la moglie sempre più turbata dalla scomparsa dell’amante, offre ingenuamente delle piste rivelatrici proprio al suo amico Anton, commissario di polizia. Interni opprimenti e solitari ambienti esterni, dialoghi scarni e silenzi espliciti; ma lo spazio principe è quello, lacerato, dell’animo e la voce che forte si fa sentire nel film è quella dello smarrimento di Naomi che non osa rivelare al marito la sua (dubbia) gravidanza, quella dell’ansia di Ilan che teme di essere scoperto e di lasciare così completamente sola la moglie (“ne troverà di uomini, ai fiori belli l’acqua non manca mai” lo rincuora ironicamente la madre), quella della lettera lasciata dalla madre stessa per accompagnare il proprio suicidio. La situazione era sembrata precipitare: Anton aveva scoperto il corpo, Nadia stava probabilmente subodorando la verità, Ilan si trovava sul punto di crollare. Ma in quella lettera Kathy si addossa la responsabilità di un figlio infelice da ragazzo e tormentato da adulto, nonché dell’omicidio “risolutore” di una sofferta dinamica di coppia. Altro che opprimente mamma mediterranea, la madre ebrea è garanzia di protezione assoluta.

ezio leoni - MCmagazine 29 - ottobre 2010