Il nastro bianco (Das Weiße Band)
Michael Haneke - Austria/Francia/Germania 2009 - 2h 24'

Palma d'oro

  C'era una volta l'ordine, se non l'armonia. C'era una volta un mondo in cui ogni cosa stava al suo posto e ognuno sapeva che posizione occupare. C'era una volta un paese, la Germania del 1913-1914, con istituzioni degne di questo nome, la chiesa, la scuola, la medicina, la nobiltà terriera, la polizia. Fino a quando tutto andò in frantumi, le istituzioni rivelarono il loro vero volto, gli individui governati da quelle istituzioni impararono ad allargare le maglie del loro ordinamento o forse ad applicarne l'insegnamento alla lettera fino a rovesciare le certezze in violenza, l'ordine in caos, il contratto sociale in sopraffazione.
Ambientato in un villaggio di campagna della Germania del Nord, girato in un bianco e nero luminoso e tagliente che ricorda da vicino i ritratti fotografici di August Sander,
Il nastro bianco racconta la fine di quel mondo esplorandone i lati più oscuri. Meglio: rivelando ciò che si nascondeva in quel chiarore abbagliante. È il "metodo" Haneke, messo a punto in film come
Funny Games, Niente da nascondere o La pianista, e portato qui alle sue estreme conseguenze. Stilistiche e morali.
La scena d'apertura è tutto un programma. Dal fondo di una campagna idilliaca, un uomo a cavallo si avvicina quando all'improvviso qualcosa di invisibile - un filo teso fra due arbusti - abbatte cavallo e cavaliere. Morale: un'immagine non è mai solo ciò che si vede, è anche ciò che nasconde. Una società non è mai come vuole apparire, è anche ciò che occulta e rimuove. Il resto del film segue questa linea demolendo poco alla volta, in tutta calma, il sistema sociale, politico, religioso, che regge quel mondo e che presto sarà spazzato via dalla Prima guerra mondiale. Incidenti inquietanti e veri delitti si susseguono senza che vi sia mai con certezza un colpevole. Una contadina muore. Un granaio prende fuoco. Un bambino ritardato viene aggredito e sfigurato. Intanto i padri puniscono, i pastori predicano, i padroni comandano, i giovani si innamorano, i bambini obbediscono - o fingono di obbedire. Fino a disegnare un crescendo di castighi e trasgressioni, violenze e ritorsioni, che è lo scheletro stesso di quel mondo e forse il cuore segreto di ogni cellula sociale. Coppie, famiglie, classi sociali: ovunque cova una violenza che può essere fisica o solo verbale (vedi la terribile invettiva del medico contro la sua amante). Inevitabile pensare che quei bambini irreggimentati e sinistri saranno adulti in epoca nazista. Ma Haneke non parla solo del passato. Tutto è narrato dalla voce invecchiata di uno dei protagonisti, il maestro del villaggio, molti anni dopo. L'autoritarismo prussiano-protestante è solo uno dei volti del Male. Questo magnifico, spaventoso affresco storico è anche una metafora del presente. Il nostro presente.

Fabio Ferzetti - Il Messaggero

  Anche se Il nastro bianco sembra, a prima vista, diverso dai precedenti, tutti i film di Michael Haneke hanno lo stesso soggetto e lo stesso protagonista: il male. Questa volta il regista austriaco va alle radici del male componendo una straordinaria parabola sull'origine del nazismo e di tutti i fascismi che ambienta in un villaggio tedesco, Eichwald, all'inizio del 900. Narrato in "voice over" dal maestro del paese, diventato vecchio, il film inizia con una caduta da cavallo; causa un filo teso di proposito, vittima il medico locale. Quando la vittima, dopo una lunga degenza, torna a casa, la vediamo trasformarsi in carnefice: della governante e della figlia, una ragazzina costretta a subire le sue attenzioni pedofile. Né le altre figure d' autorità di Eichwald sono molto meglio di costui; a cominciare dal pastore, che inculca la morale a frustate e distribuisce nastri bianchi da mettere al braccio come segno di purezza. Se certi personaggi e atmosfere evocano il cinema di Bergman, a confronto il regista svedese era un campione di ottimismo. Nella precisione geometrica dei gesti con cui descrive l'organizzazione gerarchica di una società, e le conseguenze che le sono inerenti, nella sobria perfezione della fotografia (direttamente ispirata alle immagini di August Sander, fotografo tedesco d' inizio del secolo scorso, e realizzata con pellicola a colori poi trattata in bianco e nero) il film, Palma d' oro a Cannes, è un grido silenzioso (non c' è neppure la musica) e tuttavia udibilissimo contro il sadismo dei puritani d' ogni tempo e luogo, una requisitoria scagliata in faccia all'autorità. Che sia quella degli adulti verso i bambini, dei ricchi nei confronti dei poveri, delle gerarchie religiose o dei poteri costituiti, è sempre questa la vera origine del male.

Roberto Nepoti - La Repubblica

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Il regista austriaco va alle radici del male componendo una straordinaria parabola sull'origine del nazismo e di tutti i fascismi, ambientata in un villaggio tedesco all'inizio del 900. Haneke non parla solo del passato. Tutto è narrato dalla voce invecchiata di uno dei protagonisti, il maestro del villaggio, molti anni dopo. L'ottusa gerarchia prussiano-protestante è solo uno dei volti del Male; il film è un grido silenzioso e tuttavia udibilissimo contro l'autoritarismo di ogni potere costituito. Un magnifico, spaventoso affresco storico che diventa anche metafora del presente.

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TORRESINO - novembre 2009

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