Animali notturi (Nocturnal Animals)
Tom Ford - USA 2016 - 1h 55’

VENEZIA 7 LEONE D'ARGENTO - GRAN PREMIO DELLA GIURIA



  Chi non ricorda gli scatenati ballerini di jitterbug nella sequenza di apertura di Mulholland Drive? “Immagine-mentale”, “immagine-attrazione”, chiave di lettura del film, ma nel contempo diegetica? Anche nel film di Tom Ford i titoli di testa sono accompagnati da immagini di forte impatto visivo: un'esibizione di corpi sfatti, obesi, osceni di donne anziane che, agitando penne e lustrini, si muovono al ritmo di danza su grandi schermi, anche qui immagine-mentale simbolica, doppiamente connotata: nel film e nell'installazione artistica di cui sono parte. Se da un lato il fascino prodotto dall'orrore rimanda alle scelte estetiche su cui il film si basa (grande raffinatezza formale per rappresentare l'orrore della solitudine esistenziale metropolitana), dall'altro, a livello di storia, l'opera ci comunica i gusti radicali della protagonista, proprietaria della galleria d'arte in cui avviene la performance.

La sceneggiatura del film si basa sul romanzo di Austin Wright, Tony e Susan, del quale mantiene la struttura narrativa costruita su tre livelli: la storia di Susan (Amy Adams), sofisticata direttrice di una galleria d'arte, sposata in seconde nozze con un affascinante marito che la tradisce, la storia narrata nel romanzo intitolato Nocturnal Animals, che il precedente marito (Jake Gyllenhaal) le fa pervenire e che racconta di un’aggressione terribile di cui un uomo, la moglie e la figlia sono vittime di notte nel sud del Texas da parte di una banda di teppisti, con conseguenze tragiche e successiva vendetta, alla quale collabora anche il morente poliziotto Bobby (Michael Shannon) e infine il passato di Susan, che ha lasciato il marito Edward (Jake Gyllenhaal), promettente e squattrinato scrittore, per un uomo di successo, cedendo così forse involontariamente alle pressioni della madre (una splendida Laura Linney). I fantasmi del passato emergono durante la lettura del romanzo, cosicché i profili dell’autore del romanzo, vale a dire Edward, e quello di Tony, il protagonista della vicenda, nella visualizzazione di Susan, si confondono progressivamente e si rispecchiano sempre di più l’uno nell’altro.

Tom Ford riesce a superare la rigidità, un po' meccanica nel romanzo di origine, di questi piani narrativi così diversi, utilizzando, come un ottimo scrittore, differenti stili, per dare vita, peso e rilievo alle diversificate combinazioni che il racconto esige. La complessità del film non è quindi frutto di questa sovrapposizione di temi e vicende della narrazione, ma della capacità del regista di dare unità a questa struttura, rappresentando da un lato, attraverso una composizione perfetta e raffinata delle immagini, la vita di Susan con i suoi dubbi notturni che le impediscono di dormire, ma anche la sua “perfetta” vita diurna, e dall'altro, attraverso uno stile nervoso, frammentato, palpitante di angoscia e di violenza trattenuta, la dolorosa vicenda di Tony, che vive la sua tragica avventura in una impenetrabile, inquietante oscurità popolata da una ostile presenza umana, che sembra confondersi con la selvaggia pianura texana.
L'unità tra questi piani narrativi così diversi è ottenuta attraverso uno stile impeccabile e un'estrema cura dei particolari, per cui il buio della pianura si confonde gradualmente col buio in cui Susan, leggendo il romanzo, precipita, nel riflettere sui propri errori, sulla propria vita, rimpiangendo il passato e le sue scelte sbagliate e dando forma, finalmente alle conseguenze di quelle decisioni.

È lei l’animale notturno, quella che non riesce a dormire ed è lei che legge nell’opera alla parete della sua galleria la parola Revenge, chiedendosi chi mai l’avesse comprata, per sentirsi rispondere che era stata lei stessa a volerla. Edward ha ripagato la cattiveria di Susan nel lasciarlo, scrivendo una storia senza speranza e la invia a lei come per riaprire i giochi, trascinandola in un imprevedibile finale.
Tom Ford ha dimostrato, in questo film, come peraltro nel precedente
A single man, di essere un artista poliedrico, raffinato, forse a volte eccessivamente patinato, ma efficace, grazie anche all'eccellente lavoro degli attori e della montatrice Joan Sobel Ace, nel dipingere un ritratto di una generazione che antepone il benessere all'amore e di una società cui sembrano essere connaturate la violenza e la vendetta, comunicando quel senso di solitudine e disorientamento, che caratterizza ormai tutto il cinema metropolitano.

Cristina Menegolli - ottobre 2016 - pubblicato su MCmagazine 41