Nuovomondo
Emanuele Crialese
- Italia/Francia 2006 - 2h


  Leone d'argento rivelazione - VENEZIA 63°

   Due uomini salgono un pendio roccioso, a piedi nudi, con un sasso in bocca. La macchina da presa li accompagna stando loro addosso, stretta sui loro volti, quasi disinteressata al paesaggio circostante avvolto dalla bruma. Anche quando raggiungono la croce votiva ai cui piedi depositano le pietre striate di sangue, l’inquadratura non osa allargarsi, resta ancorata ad una realtà immanente, in cui il dubbio che accompagna padre e figlio (partire o restare?) non può trovare risposta nel silenzio divino, ma solo nelle coincidenze del vivere quotidiano. L’emigrazione è vista in Nuovomondo di Emanuele Crialesefilm successivo in archivio come una dolorosa svolta di civiltà piuttosto che come un dramma sociale. La famiglia Mancuso (Salvatore, vedovo, con i figli Angelo e Pietro – muto – e la vecchia madre, Donna Fortunata) che agli inizi del '900 decide di lasciare la Sicilia alla volta dell’America, osa dire addio ad un medioevo ancestrale, protesa verso una modernità che non può che abbracciare il sogno profondo di una metamorfosi esistenziale: su Salvatore (Vincenzo Amato), che arriva a "seppellirsi" per osteggiare la restia ostinazione della madre, cade una pioggia di tintinnanti monete; circola voce che nel nuovo mondo scorrano fiumi di latte, alcune foto danno spazio ad una tensione onirica in cui il miraggio dell’abbondanza prende la forma di carote ed olive gigantesche.
Al momento della partenza entra in gioco un nuovo personaggio, Lucy (Charlotte Gainsburg), una ragazza di origini inglesi, anch’essa in balia di un processo migratorio incombente, e che la sorte sembra voler affidare al futuro dei Mancuso (esemplare la sua entrata in quadro mentre, sullo sfondo, un fondale dipinto fa da cornice ad una foto ricordo della famiglia).

E quando la nave si allontana dal molo Nuovomondo acquista un respiro di memorabile intensità: l’inquadratura dall’alto immortala lo “spezzarsi” della folla, evidenziando l’inesorabile lacerazione di un popolo. La ricerca formale di Crialese può apparire talvolta ingenua o leziosa, ma la forza delle immagini con cui compone il suo racconto rendono ragione di un affabulare poetico che vuole toccare fino in fondo l’emozione del pubblico.

Durante il viaggio lo scoppiare di una tempesta contraddice ogni spettacolarità di rito; i passeggeri vengono sballottati dalla furia degli elementi ma tutto viene vissuto sottocoperta, dove i corpi si ammassano l’uno sull’altro con la sofferenza di un’angusta precarietà, in balia dell’oceano e del destino.
L’arrivo ad Ellis Island ribadisce una coerenza stilistica tesa a rappresentare l’incertezza di una scelta di vita che sa di non potersi risparmiare sofferenze e umiliazioni. In quei locali dove ogni concretezza del domani sembra preclusa (i vetri sono offuscati e occorre arrampicarsi per intravedere palazzi e grattacieli), gli emigranti vengono sottoposti a viste mediche ed esami attitudinali col puntiglio di chi considera pericolose la diversità, la non perfetta integrità fisica, l’apparente limitatezza del quoziente intellettivo (il modo con cui Salvatore supera il test ha la radiosa semplicità di una non omologazione creativa!). Crialese mostra l’imbarazzante trafila con cui si combinano i matrimoni scevri di ogni sentimento, tiene in sospeso fino all’ultimo l’incontro rasserenante tra Lucy e Salvatore, fa brillare una scintilla di imprevedibilità nel risolvere la vicenda di Donna Fortunata e di Pietro; si abbandona infine, come in
Respiro, ad un abbraccio immaginifico di abbacinate soavità immergendo i suoi personaggi nel mare di latte con cui la provvida madre America accoglie i suoi nuovi figli.
Dedicato a chi ha fiducia più nella sensibilità del cinema che nell’efficacia della Bossi-Fini.

ezio leoni - La Difesa del Popolo  24 settembre 2006