Palermo Shooting
Wim Wenders – Germania 2008 - 2h 4'

  Wim Wenders di ritorno dai deserti americani compie il tragitto Dusseldorf-Palermo dentro le allucinazioni sonore e visive di una star del gruppo punk Die Toten Hosen, Campino, nella parte di un fotografo quarantenne senza più desideri. Wim riparte dalla sua città natale e va verso sud dove trova la luce in un affresco del XV secolo, uno scheletro a cavallo che vola sulla città lanciando frecce trasparenti, «Il trionfo della morte». Geografie emozionali (la regione Sicilia ha co-finanziato il film) per il viaggio di un «turista» senza meta, stanco di scattare foto pubblicitarie a Mila Jovovich (The Million Dollar Hotel di Wenders) e di dissiparsi in notte insonni, corse in auto sportive, musica a go-go e Nikon rotante pericolosamente in mano.
Palermo Shooting esce nel le sale italiane dopo la prima a Cannes 2008 in una versione rivista (e ridotta) dal regista. L’accoglienza sulla Croisette non fu delle migliori, lo sguardo del critico si perse nei tragitti misteriosi, nei salti di genere, nella narrazione ellittica del regista tedesco. Eppure lo spazio disegnato da Wenders invita sempre a perdersi in luoghi spazio-temporali mai visitati. Percorsi mentali, allucinatori che scoprono una Palermo labirintica, che l'artista senza più ispirazione attraversa come le quinte di un teatro o le pagine di un libro, la popola di fantasmi e di ossessioni.
La morte sfiorata in un crash evitato per un soffio dà il via al fotografo sonnambulo e lo spinge alla ricerca di un soggetto difficile imprime sulla pellicola. Uno sconosciuto dal mantello grigio lo insegue e lo colpisce con suoi dardi invisibili mentre lui, bel flaneur, se ne va per una Palermo oscura, nei vicoli e nei mercati, nelle piazze dalle chiese barocche. Una città voluttuosamente assente dalla realtà, concentrata su profumi e riti dell’aldilà, quasi un’oltre tomba pagana. E così la ricerca spirituale di Wenders sfiora solo la trascendenza nel viso da madonna di Giovanna Mezzogiorno (nella parte della restauratrice dell’affresco), anche lei attratta da ciò che non si vede, e approda in un delirio continuo di sonno-veglia alla più umana paura di vivere. La presenza di Giovanna si fonde con i paesaggi mentali, è lei stessa un elemento immateriale, forse uscita dal dipinto, forse risposta all’inquietudine dello straniero.
Campo-controcampo tra realtà e visione, il film è sullo sguardo, sul cinema e il suo principale avversario, la morte, il "negativo della pellicola", parola che in tedesco è declinata al maschile. E per questo probabilmente l’arciere misterioso è interpretato da un assurdo cavaliere del nulla, Dennis Hopper. In un labirinto di scale dalla prospettiva Lovecraft o Escher, il fotografo di Dusserdof incontra la Morte e il dialogo che segue è degno di un racconto gotico. L’icona della figura in nero con la falce si trasforma nel cavaliere errante che soffre per l’ostilità degli esseri umani, sempre in fuga davanti a lui. Eppure la Morte non è che lo specchio di ognuno, il riflesso di se stessi e delle persone amate.
L’inquadratura impossibile è l’istantanea della fine. Quella del crash nell’automobile che sfreccia su una pista già funebre, la macchina fotografica montata sul parabrezza, l'incidente che proiettò il vagabondo di Palermo in un altrove smaterializzato. Pensando ad Antonioni, Wenders segue un tragitto di realtà alterata, il suo personaggio è uno zombie, un abitante dell’oltretomba. Già morto. E questa è la storia di una resurrezione...

Mariuccia Ciotta – Il Manifesto

promo

La storia è quella di un fotografo di successo che decide di mollare la sua vita e di andare a vivere a Palermo, dove incontra una bellissima restauratrice. Già nel titolo possiamo individuare il tono, narrativo e stilistico: "to shoot" significa contemporaneamente sparare, colpire, fotografare, riprendere. Influenzato dal barocco siciliano, Wenders non ci risparmia niente: fotografie che si animano e sogni espressionisti, Escher e Murnau, sermoni su fotografia, cinema, pittura e "cammei" filosofeggianti di Lou Reed e Leoluca Orlando, Bergman e Antonioni e una "trionfale" apparizione conclusiva di Dennis Hopper nei panni di una Morte piuttosto bonaria e ridanciana...

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