Il partigiano Johnny
Guido Chiesa - Italia 2000 - 2h 09'

 

da Film Tv (Enrico Magrelli)

Un film coraggioso e importante, nonostante i difetti e alcune cadute. Il romanzo incompiuto, il brogliaccio di Beppe Fenoglio appare come un testo che si nega, con il suo tessuto frastagliato, all’esplorazione cinematografica che tende inevitabilmente alle semplificazioni e alle tipizzazioni. L’inquietudine del protagonista, l’impasto linguistico, il viaggio dentro i dubbi, le utopie, le tensioni ideali, i giorni, la normalità della guerriglia partigiana, i boschi, le vie de Alba, il paesaggio straordinario delle Langhe rendono incerta e rischiosa la scelta di un unico registro narrativo: struttura epica, cronaca neorealista, western di montagna? La Resistenza è un luogo della memoria e del conflitto politico italiano che suggerisce una posizione: elogio, negazione, demistificazione? La guerra è un soggetto troppo forte e sedimentato e gli effetti speciali, la tecnologia lo hanno trasformato in un genere ricco e asettico. Il regista che ha aperto con Il caso Martello la sua istruttoria romanzesca su quegli anni della Storia italiana e lo ha fatto usando l'ancora del presente, questa volta si cala nel flusso di quelle stagioni, di quegli entusiasmi, di quelle contraddizioni e vuole sottrarsi alla leggenda, fare un film che corra veloce come i pensieri del protagonista e come le gambe dei suoi compagni quando vogliono sfuggire alla morte.

da La Repubblica (Roberto Nepoti)

Era parecchio tempo che Guido Chiesa film successivo in archivio progettava di portare sullo schermo il romanzo semiautobiografico di Beppe Fenoglio, pubblicato postumo nel 1978. Quando la possibilità si è concretizzata, il quarantenne regista/sceneggiatore ha dovuto porsi una domanda difficile: come raccontare la Resistenza oggi, in un clima culturale in cui le idee, la Storia, la moralità paiono diventati oggetti d'antiquariato? Chiesa ha trovato la risposta giusta. Dal punto di vista della scrittura drammaturgica, Il partigiano Johnny adotta uno stile laconico e privo di enfasi; vi corrispondono immagini quasi scabre, colorate con una tavolozza neutra e omogenea. La volontà antideclamatoria è tanto più lodevole perché quella di Johnny è una storia tutta impastata di dolore. Dolore delle scelte difficili: all'indomani dell'8 settembre uno studente di letteratura inglese diserta, si nasconde nelle colline intorno alla sua Alba, poi prende la via delle Langhe e si unisce a un gruppo di partigiani comunisti. Dolore di una guerra combattuta tra freddo, pioggia e stenti, dove si attacca e si è attaccati di sorpresa, bisogna fuggire e nascondersi, si conquista una città sapendo di perderla subito dopo. Chiunque può essere un amico o un traditore: e dall'alternativa dipende la vita del partigiano. Tra l'autunno '43 e il febbraio '45, scandito per capitoli-stagioni, il film di Chiesa intende soprattutto mettere in scena questa sofferenza, la quotidianità di una guerra sporca e cattiva come ogni guerra, ma ancor più precaria e confusa, in cui i cadaveri restano abbandonati nei campi o nelle strade dei villaggi e ogni azione può scatenare una rappresaglia sanguinosa sulla popolazione civile. Passato a una formazione di ex militari che sarà decimata, Johnny si ritrova solo, a cercare di sopravvivere tra fame e gelo al durissimo inverno del '44. Proprio quando potrebbe cadere preda della disperazione e sentir vacillare di più la propria motivazione ideale, vissuta finora con la titubanza dell'intellettuale, il giovane ritrova più forte la ragione della scelta fatta, rinuncia alla rinuncia, giunge a negarsi ogni residuo istinto di autoconservazione. Per misurare la coerenza antiretorica di Chiesa basterebbe paragonare il suo film con La tregua, l'adattamento del romanzo di Primo Levi diretto tre anni fa da Francesco Rosi. I modelli del regista torinese sono altri: il cinema neorealista, e in particolare l'ultimo episodio di Paisà, da un lato, dall'altro La sottile linea rossa di Terrence Malick...

TORRESINO dicembre 2000

promo:. Fedele al romanzo di Fenoglio, Chiesa gioca la carta dell'austerità narrativa e  dell'antieroismo esistenziale. Ne esce un film "sofferto" che, nell'affrontare una delle pagine più sofferte e misconosciute della nostra storia, riesce a toccare il cuore degli spettatori.