Paul, Mick e gli altri (The Navigators)
Ken Loach
- Gran Bretagna/Germania/Spagna 2001 - 1h 32'

  

    C'è un film di Ken Loach che non abbiamo amato visceralmente? La capacità dell'autore britannico di farsi cantore della classi lavoratrici, di testimoniare la sofferenza del vivere, di farci partecipi dello sconquasso sociale, sentimentale, esistenziale dei suoi non-eroi è un baluardo di cinema civile che la spettacolarizzazione dell'hollywood-system ha da tempo emarginato e che apre nei nostri cuori di spettatori incalliti alvei di solidarietà schermica ogni volta lancinanti. Forse ci aveva infastidito la retorica di La canzone di Carla, ma come non tenere in palmo di mano Piovono pietre, My Name is Joe, Bread and Roses ed ora questo lucido, essenziale The Navigators? Lo sguardo di Loach si posa sui lavoratori dell'ex British Railway, caduta nel 1995 sotto i colpi della privatizzazione. Le dinamiche che Paul, Mick e gli altri (un po' insulso il titolo italiano) devono affrontare sono legate alla nuova precarietà lavorativa, alle occasioni di buonuscita da afferrare al volo, all'azzeramento delle garanzie sindacali (misure di sicurezza, diritti sanitari, ferie, pensione), ad una competitività che passa dall'efficienza delle nuove agenzie d'impresa allo sbando della solidarietà di gruppo, che esalta la flessibilità e svilisce la professionalità. Ce n'è abbastanza per appassionarsi nell'era berlusconiana al cinema militante? Come ci ha confessato Loach: "Vedendo The Navigators credo che venga da domandarsi se è tollerabile tutto questo. Se ti arrabbi vedendo questo film, la speranza sta nella tua rabbia".

ezio leoni - La Difesa Del Popolo  11 settembre 2001

LUX-TORRESINO settembre-ottobre 2001

promo

La vita grama dei ferrovieri britannici in balia del nuovo mercato dopo la privatizzazione delle aziende statali. Tra la precarietà dell'impiego e l'azzeramento delle garanzie sindacali (misure di sicurezza, diritti sanitari, ferie, pensione) i non-eroi di Loach scoprono le contraddizioni della flessibilità lavorativa e lo sbando della solidarietà di gruppo. Uno dei pochi grandi film del Festival di Venezia.

V.O.S. cinema LUX ottobre-dicembre 2001

       "A Working Class Hero is something to be" cantava John Lennon. Ken Loach, non sarà un eroe, ma da anni è lui il cantore della working class britannica, il regista di film come Riff Raff, Piovono pietre, My Name is Joe e, oggi, di questo The Navigators (in Italia uscirà come Paul, Mick e gli altri), sui lavoratori della ex British Railway, caduta nel 1995 sotto i colpi della privatizzazione. Ma a Ken il rosso non sembra di fare qualcosa di speciale.
"Il termine dramma sociale associato ai miei film mi sembra forse improprio. Il mio cinema parla della vita di tutti i giorni: ci sono le relazioni sentimentali, l'amicizia, certo in primis c'è il lavoro. D'altronde che il problema economico incida sulla quotidianità, sulla vita familiare, sui comportamenti sociali della gente è una realtà che troppo spesso si tende a sottovalutare."
Si riferisce anche alle tensioni esplose a Genova col G8?
"Certo. Anche il problema dei miei ferrovieri rientra nel tema della globalizzazione, è la facciata Europea del discorso. Ma se guardate i commenti inglesi ai fatti di Genova, capite la posizione ufficiale del nostro governo: ci sono state solo parole di fiducia su come è stata gestita la cosa, su come sono stati trattati i manifestanti. Nessuna voce contro la polizia.
C'è bisogno invece di dar voce a situazioni come quella raccontata in
The Navigators, se riusciamo a immedesimarci, a capire le loro storie, forse riusciamo anche a capire problematiche legati ad altre culture, ad altri paesi."
Intanto con lei fa divulgazione sulla situazione britannica. Certo aiuta l'impatto di un cast fatto non solo con attori professionisti e si capisce, come sempre nel suo cinema, che c'è un grosso lavoro di documentazione sociale alle spalle.
"Per quanto riguarda gli interpreti per metà erano professionisti, ma anche gli altri erano gente legata al mondo dello spettacolo, dilettanti, cantanti. Ma quello che conta è che erano tutti dell'ambiente, tutti di Sheffield, tutti con l'esperienza di un lavoro manuale. Va detto poi di Rob Dawber, lo sceneggiatore, una persona straordinaria. Di famiglia povera, è riuscito ugualmente a studiare, a laurearsi. Ma ha scelto di lavorare, come Paul, Mick e gli altri, per le ferrovie. C'è stato per diciassette anni, poi l'hanno licenziato. L'ho contattato per fare il film e la stessa settimana che abbiamo avuto l'ok dalla produzione si è scoperto un tumore, proprio causato dai materiali maneggiati duranti il suo lavoro. Ha fatto causa (per negligenza) e ha vinto. È vissuto abbastanza per vedere finito il film, ma purtroppo non per essere qui a Venezia."
Resta la sua, la vostra bellissima testimonianza della conflittualità all'interno della classe lavoratrice di fronte alle nuove prospettive del lavoro interinale.
"Il nuovo concetto di flessibilità è tutto a vantaggio delle agenzie di servizi: danno da lavorare solo nei giorni in cui gli serve, non garantiscono nessuna paga settimanale. Per i lavoratori è un disastro. Non c'è controllo di sicurezza, non c'è assistenza, non esistono più ferie pagate. È come tornare al XIX secolo. E un altro punto è che con la flessibilità ognuno può prendere il lavoro dell'altro, la mano d'opera diventa meno costosa. Però è la fine della specializzazione! Ne derivano terribili conseguenze. Ho iniziato ha girare un film in Scozia proprio su questo. Ci sono ragazzi di 15, 16, 17 anni che lavorano quattro, cinque ore alla settimana nei supermercati a due sterline all'ora. È meno del salario standard perché sono sotto una certa età lavorativa. E così loro trovano posto e i loro genitori restano a casa, disoccupati!"
Come diceva prima comunque nel suo cinema lo sguardo non si ferma al mondo del lavoro, la macchina da presa scava tra i rapporti familiari, tra le crisi di coppia. Anche in questo ambito in ogni caso la situazione non è rosea. 
"Dobbiamo dire che anche qui bisogna essere "flexible"? Mi sembra che per i miei personaggi ci sia sempre uno spiraglio di luce. Forse più a livello sentimentale che sociale. Ma conta anche quanto un film lascia nel pubblico. Certo il finale è amaro, ma se per dare speranza in tutti i film dovessero finire col pugno chiuso sarebbe noioso. Vedendo
The Navigators credo che venga da domandarsi se è tollerabile tutto questo. Se ti arrabbi vedendo questo film, la speranza sta nella tua rabbia."

ezio leoni - Il Mattino di Padova  24 settembre 2001