Il Pianeta del Tesoro (Trasure Planet)
Ron Clements e John Musker - USA 2002 - 1h 35'
[animazione]


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"nelle notti più limpide, quando i venti dell'etereo diventano placidi..."

    L’approccio cinematografico con L’isola del tesoro (Robert Louis Stevenson, 1883) vanta oltre una dozzina di trasposizioni, di cui tre ai tempi del muto, varie serie televisive e alcune produzioni da menzionare per il ruolo di Long John Silver affidato ad interpreti del calibro di Orson Welles (1972), Anthony Quinn (1987), Charlton Heston (1990), Tim Curry (1996), Jack Palance (1999).
Quella del 1950 fu una produzione Disney. Con
Il Pianeta del Tesoro la casa di Burbanks si ripete ora in una splendida versione a cartoni animati, anche se il termine è sempre più improprio vista l’evoluzione delle tecnologie (siamo alla “terza generazione”) che sfruttano il digitale, mantenendo in bidimensione (cartoon classico) i personaggi e strabiliando nel 3D di sfondi, ambienti e (in questo caso) “vascelli spaziali”. Il termine va virgolettato perché troppo ci si è abituati a parlare, nelle saghe fantascientifiche, di astro-navi. Qui l’originalità dell’idea sta nel mescolare il decor settecentesco di navi e pirati con l’universo futuribile: così i galeoni sfrecciano spinti da roboanti propulsori mentre le vele solari si gonfiano sfruttando le correnti galattiche, nello spazio siderale vagano sereni branchi di balene, ma si
aprono anche fiammeggianti buchi neri, la ciurma antropomorfa sembra uscita da un saloon di Guerre stellari, il bieco John Silver è un cyborg e il suo pappagallo è diventato una minuscola ameba-mutante (Morph), che con il suo simpatico trasformismo costituisce un tassello narrativo di effervescente vitalità. E se Jim Hawkins è uno scavezzacollo dal look “street” che si esibisce in saettanti equilibrismi su un surf a razzi (una sequenza da virtuosistico brivido!), la mappa è una piccola sfera computerizzata che ricrea tridimensionalmente la volta dell’universo e uno spicchio di luna si rivela uno spazio-porto modellato sulla forma del satellite…
Il fascino sorprendente di
Treasure Planet sta proprio in questo amalgama di novità e tradizione, di un antico racconto avventuroso e di un impianto figurativo visionario in suadente modernità. Ed è un piacere conoscere già la storia e rimanere ugualmente avvinti dal ritmo, dal rigenerarsi delle emozioni, dalle finezze dell’adattamento da fantafuturo. Il prologo con Jim ancora piccino che legge a letto del leggendario bottino del capitano Flint è un memorabile gioiello di immersione nel fantastico. Il libro che sfoglia si anima in 3D, il buio della camera di illumina delle immagini del racconto, vascelli corsari escono dalla pagina in sfavillante materializzazione… Quando poi il protagonista, ormai adolescente, entra in possesso della mappa del tesoro di Flint, scatta anche per noi la scintilla dell’avventura: la locanda di mamma viene messa a ferro e fuoco, ma con l’aiuto di uno strampalato scienziato, il dottor Doppler, si può partire alla ricerca del mitico pianeta. Come in Stevenson sulla “nave” si imbarcano i pirati (spazionauti!) di Long John, ma proprio il perfido bucaniere si lascerà intenerire dalla sofferta iniziazione di Jim (“devi rinunciare a qualcosa quando rincorri un sogno”) e la loro amicizia cresce in parallelo con i ricordi-flashback dell’abbandono del padre… All’approdo sull’agognata isola (pardon, pianeta!) non mancheranno all’appello il naufrago Ben (qui un robot logorroico che ha perso il chip di memoria), scintillanti dobloni e catastrofiche trappole. Il tutto per dare spazio all’estro dell’equipe dell’animazione Disney (gli autori, Clements e Musker, sono quelli di Basil l’investigatopo, La sirenetta, Aladdin ed Hercules), all’arguzia di Jim, al cementarsi del suo rapporto con John. Per concedere al pubblico di tutte le età un’esplosione di sopite rivelazioni narrative e nuove fantacinematografiche sorprese.

ezio leoni - La Difesa Del Popolo  12 gennaio 2003


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