Piano, solo
Riccardo Milani - Italia 2007 - 1h 46'

     È la storia di un geniale pianista italiano di jazz, Luca Flores, morto suicida non ancora quarantenne. Lo spunto, il bel libro che gli ha dedicato Walter Veltroni, Il disco del mondo, rielaborato da una sceneggiatura scritta, fra gli altri, da Sandro Petraglia, con il contributo di lettere private e di filmini amatoriali messi a disposizione dalla famiglia. Si comincia in Africa, dove lavorava il padre di Luca, noto geologo. Un'infanzia felice, funestata dalla morte in un incidente della madre; da cui un trauma che segnerà per sempre l'esistenza di Luca. Poi, tornati tutti in Italia, il pianoforte, prima la musica classica quindi il jazz, con un successo dietro l'altro perfino in collaborazione con Chef Baker. Presto, però, nonostante l'amore di una ragazza e l'affetto di tutti i familiari, padre, sorella, fratello, le prime turbe psichiche, delle ombre nere che, fra alti e bassi, incidenti e tentativi di riprendersi, condurranno alla tragedia finale. Con una corda al collo. L'impresa di rappresentarci questa vita e i drammi che l'attraversano se l'è assunta Riccardo Milani, salutato con simpatia sia in occasione del suo esordio (Auguri professore), sia più in là (La guerra degli Antò), sia di recente con Il posto dell'anima, alternati a varie, felici imprese televisive. Doveva raccontarci una storia buia, così, come precisa ricerca stilistica, ha chiesto alla fotografia di Arnaldo Catinari di evitare, salvo nelle prime pagine in Africa, le immagini limpide e dilatate, mirando, al contrario, restringerle il più possibile attorno al personaggio centrale non solo fasciandole sempre di luci scure ma tenendo spesso il suo volto e le sue espressioni per metà quasi in ombra; con evidenti intenzioni simboliche. Privilegiando, a loro sostegno, dei colori fra l'ocra e il nero, con effetti spesso quasi plumbei. E affidandole a ritmi più indirizzati a seguire l'evolversi degli stati d'animo che non la progressione dei fatti. Si perviene a questi risultati grazie all'interpretazione ancora una volta straordinaria di Kim Rossi Stuart che riesce a far trasparire dalla sua maschera segnata l'itinerario angosciante del protagonista dalla lucidità alla pazzia. Con una misura, un equilibrio, una precisione frutto, sempre, di sfumature meditate. Da non dimenticare, però, al fianco, Michele Placido, il padre, Jasmine Trinca, la fidanzata, Paola Cortellesi, la sorella. Con rigore non dissimile.

Gian Luigi Rondi - Il Tempo

    Una storia di quelle che vale la pena raccontare. Perché parla di un ragazzino normale, di una famiglia normale, di una vita normale, che improvvisamente il destino fa esplodere. Una storia come altre, quindi paradigmatica. E' quella di Luca Flores, che Walter Veltroni raccontò in un libro qualche anno fa (Il disco del mondo, Rizzoli) e che oggi arriva sugli schermi per mano di Riccardo Milani.
Il film si sviluppa cronologicamente. Luca piccolo sulle spiagge infinite di Lourenco Marques (Mozambico) che gioca con i tre fratelli e la mamma; Luca che fa un dispetto alla sorella Baba (Barbara), Luca che va a letto senza bacio della buonanotte, Luca in macchina con la mamma verso la città, Luca che esce dallo sportello della macchina che ha sbandato, Luca che vede la mamma morente tra i rottami. Da lì, la vita sembra scorrere normale, per questo giovane illuminato dal talento e che della madre ha serbato soprattutto l'amore per la musica, la tenacia nell'esercizio sulla tastiera, gli esami al conservatorio e poi l'incontro con un paio di ragazzi che lo convincono a lasciare la classica e a darsi al jazz. Luca è un ragazzo un po' malinconico, spesso assente, ma con la voglia di vivere. Le voci iniziano ad abitarlo improvvisamente: gli dicono che è sua la colpa della morte di Chet Baker, che è lui il mostro di Firenze e forse anche l'assassino di sua madre. Le voci non stanno mai zitte e Luca lentamente, inesorabilmente, perde il senno.
A dare volto e corpo a questo uomo morto suicida nel 1995 e alle sue inquietudini un Kim Rossi Stuart che maneggia bene il mestiere. A 14 anni dalla sua ansia di prestazione in Senza pelle, ora l'attore maturo si permette di lavorare sul disagio psichico senza scosse, con lucidità e determinazione usando anche qualche facile escamotage artigianale (la voce bassa e farfugliante nei momenti di maggiore difficoltà) senza farci male. Al loro posto i personaggi di contorno (la sorella Barbara interpretata da Paola Cortellesi, il fratello con la faccia di Corso Salani, gli amici Roberto De Francesco e Claudio Gioé, la madre Sandra Ceccarelli) su cui si distinguono, in basso, Jasmine Trinca (la sua "fidanzata" non ha un goccio di passione vera) e, in alto, il padre-Michele Placido che ormai è un vero re mida del cinema: trasforma in oro qualsiasi personaggio tocchi.
Assistito dalla fotografia forte e ravvicinata di Arnaldo Catinari e da una sceneggiatura iper-professionale (Ivan Cotroneo, Claudio Piersanti, Sandro Petraglia), Riccardo Milani entra ed esce dall'emozione, a volte riesce a far combaciare la sua regia con l'intensità del materiale, a volte - più spesso - lo raffredda con una rigidità di linguaggio. Nessun passaggio sbava, la regia mai trema di fronte alla forza dell'immagine rimandata, qualche colpo di coda si coglie nella prima parte (dove del resto è la musica a comandare) ma ogni fantasia scompare nella seconda. Un compito ben fatto per una storia (ed anche per degli interpreti, per una musica, per una passione) che, come si dice, avrebbe forse meritato di più.

Roberta Ronconi - Liberazione


promo

La storia vera di un artista tormentato, la sua vita privata, l'ascesa al successo fino al drammatico suicidio: Luca Flores è stato uno dei talenti nascosti del jazz italiano, un pianista vissuto tra il 1956 e il 1995 che durante la sua carriera ha suonato con veri e propri mostri sacri della musica colta (da Massimo Urbani a Chet Baker), ma che sognava di esibirsi in una casetta-giocattolo lontano dagli sguardi del pubblico. A sottrarlo all'oblio, prima ancora di Riccardo Milani, fu Walter Veltroni che nel suo libro Il disco del mondo ne narrava la breve vita ricca di trionfi ma di altrettanti dolori.
Assistito da una fotografia forte e ravvicinata e da una sceneggiatura iper-professionale, qui Milani entra ed esce dall'emozione, a volte riesce a far combaciare la sua regia con l'intensità del materiale, a volte purtroppo lo raffredda con una rigidità di linguaggio. Gli fa comunque onore aver riportato alla luce uno dei più formidabili talenti custoditi nella storia del jazz italiano e aver trovato i giusti protagonisti, che ne potessero preservare la memoria.

TORRESINO - ottobre 2007

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