Prendimi l'anima
Roberto Faenza - Italia 2002 - 1h 42'

da La Stampa (Lietta Tornabuoni)

     Due giovani donne eccezionali per indipendenza, per ardore erotico e per pensiero libero, Sabina Spielrein, psicoanalista russa, e Frida Kahlo , pittrice messicana. Due personaggi destinati a incontrare le grandi forze del Novecento (psicoanalisi, rivoluzione russa, stalinismo, nazismo) e i grandi personaggi di quel secolo (Jung, Freud, Troskij, Picasso). Due testimoni dirette del modo in cui le donne importanti, appassionate e ricche di personalità venivano considerate (come oggi, del resto): presuntuose, scocciatrici, eccessive, fastidiose. Due film che arrivano contemporaneamente nei cinema per raccontare la loro vita. Prendimi l'anima di Roberto Faenza, film intelligente e distante con un titolo bellissimo e vago (l'anima?), racconta dell'ebrea russa Sabina Spielrein, nel 1904-1905 paziente e poi amante di Carl Gustav Jung a Zurigo, allieva di Freud e poi psicoanalista e pedagoga a Vienna, partecipe a Mosca nel 1923 dell'esperienza rivoluzionaria di un asilo libertario, vittima della repressione di Stalin, trucidata dai nazisti nel 1942 insieme con le proprie figlie e con molti correligionari nella sinagoga della città natale Rostov sul Don. Il film segue parallelamente le ricerche compiute su Sabina da una studentessa e da un professore contemporanei, e la vicenda di lei: i due elementi non risultano sempre armonizzati né apparentemente necessari, a volte si ostacolano a vicenda più che completarsi, imprimendo alla storia un ritmo affaticato. Prendimi l'anima è centrato sul legame tra Jung e Sabina Spielrein, che fu la prima persona con gravi disturbi mentali curata dal grande allievo di Freud con i metodi freudiani dell'analisi dei sogni e delle libere associazioni, in un ospedale psichiatrico, il Burghölzli, che usava invece sistemi violentemente repressivi. La paziente s´innamorò del medico e il medico della paziente (transfert, controtransfert): ma Jung non volle rinunciare per lei alla propria famiglia, né alla propria rispettabilità sociale e, con un comportamento classico nel passato e spesso nel presente, pose fine alla relazione, mentre Freud indirizzò la ragazza esclusivamente agli studi. Il film è molto interessante e ben fatto. Magari la verità storica non viene sempre rispettata, magari il poliziotto di Stalin appare un po' burattinesco: ma sono bellissime le scene d´amore, la grande scena di massa alla stazione di Rostov con sovietici e tedeschi che alternativamente si fronteggiano, l'alto livello internazionale della realizzazione...

da Film Tv (Emanuela Martini)

     Quella di Sabina Spielrein, la prima paziente trattata con metodo freudiano dal giovane Carl Gustav Jung, che s'innamorò, ricambiata, del suo analista, ne divenne l'amante, ne fu poi abbandonata per evitare lo scandalo e, tornata nella nativa Russia, lavorò in un asilo applicando metodi pedagogici rivoluzionari, è una storia vera. Una di quelle "storie non ufficiali" che col trascorrere dei decenni reclamano la vita (Sabina, dopo che il suo asilo fu chiuso da Stalin, fu uccisa dai nazisti nel 1942). Peccato che in Prendimi l'anima, il film che ne ha tratto Roberto Faenza dopo anni di ricerche, sia proprio la vita a mancare. Costellato di carrelli roteanti, flashback (la storia della Spielrein é raccontata attraverso le indagini di una giovane ricercatrice), immagini flou, libere associazioni (il cerbiatto/la donna, la muta dei canili nazisti), Prendimi l'anima appartiene alla categoria del cinema vecchio che spaccia il kitsch per arte e cultura. Non è un problema di intenti e di contenuti (entrambi onorabilissimi), ma di linguaggio cinematografico, dove la supposta eleganza della ricostruzione, l'ansito dei protagonisti, lo spudorato movimento di macchina enfatizzano sullo schermo i sentimenti dei personaggi e nostri. Immersi nei cliché, sentiamo quello che vediamo, senza uno sprazzo di problematica originalità. E questo non è esattamente un bel servizio nei confronti della tormentata eccentricità dei personaggi raccontati. Molto "arty", Prendimi l'anima è l'ennesima dimostrazione dei danni fatti al nostro immaginario dalla fiction televisiva.
 

da Il Giorno (Silvio Danese)

     Ritratto etico, professionale ed emotivo di Sabine Spielrein. Non vi dice niente il nome? Ma allora è un motivo per vedere il film di Faenza, un po' ingessata tranche biografica della ricercatrice che sperimentò una pedagogia infantile di derivazione psicanalitica, aprendo un celebre "asilo libero", chiuso in pochi mesi dal regime stalinista. La Spielrein incominciò come paziente di Jung, di cui finì irrimediabilmente innamorata e irrimediabilmente respinta, al punto che Jung, complice Freud, occultò sempre la sua ricerca. L'amore di Sabine per Jung, travolgente e liberatorio, è la parte più riuscita e coinvolgente, anche per l'intensa dotazione emotiva dell'attrice protagonista. Cadendo nel tranello della compassione, invece, il finale assomiglia più a un santino che alla cronaca di un'altra tortura ebraica, per mano sovietica, e una tragica morte, per mano nazista. Faenza cerca di attualizzare una trentennale, accurata e meritevole ricerca, ma lascia l'impressione che la discussione sia più interessante del film.
 

TORRESINO - marzo 2003