Prima la trama, poi il fondo
Fulvio Wetzl, Laura Bagnoli - Italia 2013 - 1h 5’


   Renata Pfeiffer, artista che ha superato gli ottant’anni, narra di sé e della propria passione per la creatività in una molteplicità di forme espressive che vanno dall’uso delle lacche a quello dei metalli fino alle radiografie. Fulvio Wetzl (che qui dirige insieme a Laura Bagnoli) ha da sempre mostrato profondo interesse per storie e personaggi che si evolvono, di cui ama farci scoprire ciò che inizialmente restava misterioso. Il bambino protagonista di Prima la musica, poi le parole utilizzava un codice (impostogli dal padre) che andava decrittato così come i due ragazzini in Mineurs erano costretti a cercare di comprendere un mondo per loro totalmente nuovo a causa dell’emigrazione dalla Lucania in Belgio. Forse non è un caso che questo documentario si chiuda con l’immagine della bisnipotina della protagonista che ‘gattona’ nella galleria in cui sono esposte le opere della bisnonna. Perché in Renata Pfeiffer Wetzl va a cercare e fa emergere il lato bambino, quello sempre capace di meravigliarsi e di accettare nuove sfide non per incoscienza ma per il piacere di misurarsi con se stessa e con le scoperte che l’espressione artistica può offrire. Di Renata Pfeiffer le note biografiche ci informano che è una pittrice milanese nata nel 1930, opera nell’arte dal 1958, data a cui risale il suo primo dipinto, un ritratto ad olio della figlia Laura a cinque anni. Da allora ha attraversato il mondo dell’arte milanese e non solo seguendo un suo percorso personale, riconosciuto da critici e letterati, del calibro di Dino Buzzati, Raffaele Carrieri, Liana Bortolon, che è partito con un uso particolarissimo dei colori a smalto industriale, per descrivere, negli anni ‘70-’80, il mondo delle periferie e dei cantieri urbani, soprattutto di Milano. Wetzl va oltre tutto ciò e ci mostra un’artista che, in questa fase della sua vita, è attratta dagli abissi marini forse proprio perché invece tutto in lei appare solare. Anche quando ricorda il marito Enrico Bagnoli scomparso di recente (che i più giovani conoscono grazie al disegno dei fumetti di Martin Mystére) c’è una luce che brilla nei suoi occhi che lo rende presente e che la regia sa cogliere. Il suo è il racconto di una vita in cui la ‘necessità’, più che il bisogno, di esprimersi attraverso forme d’arte ha dato origine a periodi diversi fino ad approdare (temporaneamente perché la ricerca continua) a quadri scomponibili al punto da poter divenire monili indossabili. Reclamando però in silenzio la restituzione. Wetzl restituisce Pfeiffer alle sue opere, più che nella mobilità della computer graphic, quando le trasforma in cornici al cui interno la racchiude. Perché è lei la principale opera d’arte a cui il documentario rende omaggio.

Giancarlo Zappoli - Mymovies.it

   La madre di Renata Pfeiffer, coi suoi capelli fulvi, forse fu modella per Egon Schiele; Suo marito, Enrico Bagnoli, era un fumettista e illustratore che da L’intrepido ha attraversato i decenni fino a Martin Mystère: per lei, Renata, l’arte è qualcosa che si respira e si vive ogni minuto della giornata. Una cosa di famiglia; infatti a coadiuvare Fulvio Wetzl in questo ritratto d’artista è proprio la figlia Laura Bagnoli, e la dimensione intima (e affettuosa) del documentario si fa lampante.
Pittrice votata alla ricerca di materiali e suggestioni, la Pfeiffer ha utilizzato nel corso degli anni il metallo, gli smalti industriali, perfino radiografie (sempre di famiglia), plasmando la materia nel segno di un’arte armoniosamente in bilico tra astratto e figurativo. Sullo sfondo, sempre, la sua Milano, città amata e musa dal ronzio costante. Nel tracciare il breve profilo di una donna dal lunghissimo percorso (oggi, ottantaduenne, più attiva che mai), Wetzl e Bagnoli scelgono di mettere in primo piano le opere, quanto e più della loro creatrice: protagoniste di animazioni e costantemente presenti a incorniciare il volto di Renata, le sue composizioni invadono lo schermo, a tratti ingombrandolo e spezzando il ritmo di un’opera piccola ma sincera. Ma la Pfeiffer, con l’energia di una debuttante, sa conquistarsi i suoi spazi: artista che ama le trasparenze (che si tratti di creature degli abissi o di ossa radiografate), si sovrappone vivacemente ai suoi stessi quadri, guadagnandosi il primo piano.

Ilaria Feole - FilmTV

   Chi fosse convinto che Milano sia una città grigia, livida, incolore, un po’ squallida. Chi ritenesse impossibile che a ottant’anni una donna bionda diventi più bella di quando ne aveva venti o trenta di meno. Chi giudicasse improbabile che un’artista che ama Mondrian, Picasso, Egon Schiele e ha dipinto in mezzo secolo centinaia di quadri di ogni genere, in piena vecchiaia si metta a lavorare con i metalli (alluminio, bronzo ecc.), usando forbici e punteruoli, si trasformi in “Renata degli abissi”, ispirandosi a immagini filmate a 6000 metri sotto il livello del mare (ma anche a quelle all’interno in un corpo umano). Chi non credesse che il film, ideato e diretto dalla coppia Wetzl-Bagnoli, sia affascinante, sorprendente, cinematografico al 100 % nel suo dinamismo, persino divertente nell’andare avanti e indietro tra il figurativo e l’astratto, la manualità e la fantasia, la realtà e i sogni, il passato e il futuro. Tutti costoro - almeno i più attenti o intelligenti - potrebbero cambiare idea dopo aver guardato questo film, prodotto da W&B. C’è anche una lezione da imparare: per fare in modo che i quadri non diventino eguali a se stessi, ossia in un certo senso “morti” - bisogna agire su di loro in certi casi, cambiarli, correggerli, trasformarli...

Il Morandini - Dizionario dei Film


promo

Renata Pfeiffer, pittrice milanese nata nel 1930, opera nel mondo dell'arte dal 1958 e da allora ha ritratto con un uso particolare dei colori a smalto industriale il mondo delle periferie e dei cantieri urbani soprattutto di Milano. Negli anni Novanta, però, l'uso degli smalti industriali le ha provocato un tumore che l'ha costretta a ricercare nuovi mezzi di espressione. Nel tracciare il breve profilo di una donna dal lunghissimo percorso, Wetzl e Bagnoli scelgono di mettere in primo piano le opere, quanto e più della loro creatrice: protagoniste di animazioni e costantemente presenti a incorniciare il volto di Renata, le sue composizioni invadono lo schermo, a tratti ingombrandolo e spezzando il ritmo di un’opera piccola ma sincera. Il fim restituisce Pfeiffer alle sue opere, più che nella mobilità della computer graphic, quando le trasforma in cornici al cui interno la racchiude. Perché è lei la principale opera d’arte a cui il documentario rende omaggio.