Rendition - Detenzione illegale
Gavin Hood - USA/Sudafrica 2007 - 2h'

    «Rendition» vuol dire trasferimento coatto, se non proprio deportazione, ed è quello cui la Cia ha sottoposto in segreto un numero imprecisato di persone, prelevate sul territorio americano e non solo (ricordate il caso di Abu Omar?) e rinchiuse nelle prigioni di Paesi amici dove vengono interrogate e torturate. È quello che nel film succede a un ingegnere egiziano emigrato e sposato negli Stati Uniti (Omar Metwally), sequestrato dopo un suo viaggio a Città del Capo e trasferito nelle segrete di un Paese nordafricano: la Cia, e il suo freddo capo Corinne Whitman (Meryl Streep) lo credono fiancheggiatore di una rete terroristica e per questo lo affidano ai metodi piuttosto spicci di un commissario della polizia locale (Igal Naor). Questo lo spunto di partenza di Rendition, primo film hollywoodiano di Gavin Hood, il regista sudafricano che l'anno scorso aveva vinto l'Oscar per Tsotsi e che qui affronta di petto il tema della responsabilità della Politica e dei limiti della lotta al terrorismo. Perché l' odissea dell'ingegnere sospettato, ai cui interrogatori assiste - sempre più angosciato - l'agente Cia Douglas Freeman (Jake Gyllenhaal), si intreccia da una parte con il disperato tentativo della moglie Isabella (Reese Witherspoon) di capire dove, e perché, sia sparito suo marito, chiedendo aiuto all' ex fidanzato ora assistente di un senatore, e dall'altra con la ribellione della giovane figlia del commissario torturatore (interpretata da Zineb Oukach), che non vuole accettare la tradizione dei matrimoni imposti e fugge da casa con la complicità di un fidanzato (Moa Khouas) di cui ignora la conversione al fondamentalismo terrorista.
Una storia complessa che però il regista sembra padroneggiare meglio a livello di narrazione che di regia. Se l'incastro delle varie sotto-trame non si limita al solito montaggio contrapposto ma intreccia anche i piani temporali, svelando solo alla fine quale sia la vera collocazione cronologica dell' attentato con cui si apre il film, la regia finisce per essere un po’ troppo prigioniera di uno stile prevedibile e artefatto che nei sotterranei della prigione, tra scosse elettriche e catini d' acqua fatti ingoiare a forza, dà addirittura l'impressione di preoccuparsi più del controluce e del chiaroscuro che del realismo. Finendo per dare l'impressione di edulcorare la realtà e corroborando l'impressione di un film dove, più che denunciare l'inumanità di certe politiche segrete o di certe pratiche antiterroristiche, sia importante un giusto «equilibrio» tra personaggi positivi e negativi, tra angosce e speranze, tra conformismo diffuso e cocciuta testardaggine.
Per fortuna il film è riscattato da un gruppo di volti convincenti e appropriati, dove svettano la razionalità cinica e intransigente della Streep, la cocciuta determinazione della Witherspoon e i turbamenti morali del giovane funzionario Cia affidato a Gyllenhaal, accanto ad attori più o meno popolari ma altrettanto efficaci (Alan Arkin è il senatore timoroso di esporsi troppo, Peter Saarsgard il suo assistente), alcuni dei quali (Metwally, Noar, Khouas) già visti in
Munich di Spielberg.

Paolo Mereghetti – Il Corriere della Sera

    ...C'è però una caratteristica piuttosto sorprendente, che rende il film meno ovvio di quanto i detrattori vogliano ammettere; e si colloca sul piano delle strategie narrative. Tutto il racconto gravita, infatti, intorno a un attentato dinamitardo nella piazza di una città nordafricana. La pratica del film a molti personaggi, con episodi convergenti e diversi punti di vista, quasi inflazionata nel cinema più recente, ci ha abituati a pensare che i vari fatti avvengano in contemporanea.
La sceneggiatura di Kelley Sane, invece, spariglia le nostre presupposizioni di spettatori abituati a dare pigramente per scontato ciò che non lo è. Meglio non aggiungere altro: i più smaliziati drizzino le antenne sui "tempi" narrativi del film; gli altri si godano la sorpresa...

Roberto Nepoti – La Repubblica

    Il titolo viene da 'extroardinary rendition' (consegna straordinaria), la controversa procedura speciale utilizzata dai Servizi Segreti americani (soprattutto dopo l'11 settembre), contro i presunti terroristi. Le fasi sono arresti coatti, deportazioni in Paesi dove si usa la tortura per ottenere informazioni e detenzioni in condizioni inumane. Fra piani narrativi paralleli e salti temporali, il regista cerca di analizzare un tema difficile come la dicotomia giusto-sbagliato. Punta in alto ma, è il caso di dirlo, non sbaglia. Ed evita l'errore di fornire facili, univoche soluzioni.

Roberta Bottari – Il Messaggero

 


promo

Sospettato di essere un terrorista, Anwar El-Ibrahimi, ingegnere chimico di origine egiziana, viene sequestrato da alcuni agenti USA e sottoposto ad uno spietato interrogatorio. Tra coloro che assistono c'è Douglas Freeman, un analista della CIA che prende a cuore la sua causa e cerca di favorirne la scarcerazione. Nel frattempo, Isabelle non avendo più notizie del marito, inizia la sua ricerca disperata... Fra piani narrativi paralleli e salti temporali, il regista cerca di analizzare un tema difficile come la dicotomia giusto-sbagliato evitando difornire facili, univoche soluzioni.

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