Risorse umane (Ressorces Humaines)
Laurent Cantet - Francia 1999 - 1h 40'

da Film TV (Fabrizio Liberti)

    C'è uno spettro che si aggira per l'Europa: la settimana lavorativa a 35 ore, che sta provocando uno scontro serrato tra lavoratori e aziende, con forti ripercussioni sulla sfera politica. La riduzione dell'orario di lavoro ha trovato in Francia terreno fertile per la sperimentazione, ma i costi dello scontro tra le parti sociali sono elevati. Risorse umane è il primo tentativo del cinema europeo di operare una riflessione sull'argomento. Teatro dello scontro è una piccola fabbrica di Gaillon in Normandia, dove prende servizio il neolaureato Frank. Il ragazzo, appena giunto da Parigi, è figlio di un operaio della fabbrica, che vede in lui la propria rivincita sociale. Nell'azienda è in atto il duro scontro per l'attuazione della riduzione dell'orario e Frank viene incaricato di lavorare alla soluzione del problema, ma la direzione sfrutta il suo lavoro per predisporre una drastica riduzione del personale, che prevede anche il licenziamento del padre. Fiction e documentario si sposano con equilibrio in questo film dell'esordiete Laurent Cantet film successivo in archivio, dove l'utopia per un avvenire migliore si scontra duramente con l'interesse e il cinismo del capitale, provocando anche profondi contrasti familiari.

da L'Unità (Alberto Crespi)

   Ne abbiamo parlato molto, e siamo orgogliosi di averlo fatto... Diciamo che tale sostegno era nel nostro Dna: questo è un film sulla classe operaia - nella miglior tradizione dei Ken Loach e dei Robert Guédiguian - ed è anche un bel film, per cui... Il film di Laurent Cantet affronta il tema sindacale delle 35 ore, ma lo fa parlando non il sindacalese, bensì il linguaggio dei rapporti umani (non delle «risorse»). Il 22enne Frank (Jalil Lespert, unico attore professionista del cast) ha studiato economia aziendale a Parigi e ora torna nella natia Normandia, dai genitori, per compiere uno stage nella fabbrica dove suo padre fa l'operaio da 30 anni. Ovviamente papà è orgogliosissimo che il suo figliolo entri nella sua fabbrica, ma vestito in cravatta e doppio petto, anziché in tuta. Frank si mette a lavorare sul tema dell'introduzione delle 35 ore, scoprendo però che la direzione usa le sue proposte per far passare un massiccio piano di ristrutturazione (traduzione: di licenziamenti). Quando Frank scopre che fra gli «esuberi» c'è anche suo padre, si licenzia e spiffera tutto alla sindacalista comunista che in precedenza l'aveva violentemente attaccato: si dà il via allo sciopero, al quale però il padre non vorrebbe partecipare... Al di là del tema, che Cantet e lo sceneggiatore Gilles Marchant affrontano in modo il più possibile dialettico ed equidistante, colpisce di Risorse umane la profondità con cui è descritto il contesto sociale e umano della vicenda. Il personaggio del padre (il non-professionista Jean-Claude Vallod, straordinario) è bellissimo e racchiude in sé tutte le dolorose contraddizioni di una generazione che ha lottato pensando più ai propri figli che a se stessa. Se avete il vago sospetto che le nuove tecnologie non siano sempre «umane», e che la classe operaia, checché se ne dica, esista ancora, non esitate: questo è il vostro film.

da Il Sole 24 ore (Roberto Escobar)

    Parla di cose serie e importanti, il film di Laurent Cantet. Per di più, sono cose che l'immaginario cinematografico da tempo non frequenta, a parte eccezioni che ogni tanto ci vengono proprio dalla Francia, come il bel Marius e Jeannette di Robert Guediguian (1997). Ma, appunto, di che cosa davvero parla Risorse umane? La domanda può sembrare retorica, tanto in sceneggiatura i contenuti, i temi narrativi sono detti e dichiarati. Da un lato, Cantet e il cosceneggiatore Gilles Marchand affrontano una questione che verrebbe da chiamare di psicologia individuale: quali sono i rapporti profondi tra un padre (Jean-Claude Vallod) che per tutta la vita è stato operaio, legato alla sua macchina per otto ore al giorno, e un figlio (Franc: Jalil Lespert) che ha ormai abbandonato la classe d'origine? D'altro lato, nel film si muovono e alla fine prevalgono questioni di natura ben più sociale: di "psicologia politica", per non dir di strategia politica. All'inizio di Risorse umane si ha l'impressione che il primo tema s'avvii a prevalere... Il vecchio operaio promette uno sviluppo narrativo non banale: non banale dal punto di vista della psicologia individuale e anche da quello di un'ipotetica psicologia politica. La sua storia di vita appartiene allo ieri: viene da un'epoca e addirittura da un mondo di cui stiamo perdendo memoria... Al figlio, che sta per passare dall'"altra parte", vuole mostrare il suo proprio valore d'operaio, le sue proprie professionalità e competenza. Un uomo esperto - gli dice armeggiando con leve e oggetti di metallo - può produrre 700 pezzi all'ora. Ed è come se gli dicesse: qui sta la dignità d'una vita, della mia vita. Non ha e non ha mai avuto un padrone, questa dignità... E però, di fianco al vecchio, un secondo operaio sta lavorando a una seconda macchina. La regia lo inquadra per pochi istanti. É molto più giovane, e ha un atteggiamento e un'espressione tutt'altro che pacificati. Se ben conosciamo la "retorica" del cinema che una volta veniva detto politico, ci attendiamo (e temiamo) che proprio lui - scuro di pelle, incattivito, emblematico come può esserlo uno stereotipo - finisca per diventare l'antagonista implicito ed esplicito dei valori del vecchio. Naturalmente, il sospetto vale per l'ipotesi che Risorse umane scelga il modello del "cinema politico", appunto... Ben presto il rapporto tra padre e figlio - confronto o conflitto che sia - viene messo sullo sfondo. La sceneggiatura procede infatti per enunciazioni generali e generiche. Ossia per situazioni narrate in modo da apparire al pubblico immediatamente "riconoscibili". Il loro compito (anticinematografico) é significare non se stesse ma altro: verità complessive, scelte di campo, prospettive d'azione... Una volta lo si diceva politico, il cinema stereotipato che rivediamo in Risorse umane. Ma lo si sarebbe dovuto dire antipolitico; ossia, volto a produrre non consapevolezza ma consenso...

TORRESINO - maggio 2000 PRIMA VISIONE