Rusty il selvaggio (Rumble Fish)
Francis Ford Coppola - USA 1983 - 1h 34'


      Tulsa-Oklahoma. Anni '60. I tempi delle bande sono passati, ma non il loro mito. Rusty James cerca di farlo rivivere sulla propria pelle in nome dell'affetto-ammirazione per il fratello maggiore che di quel periodo è stato un leader ("il pifferaio magico") e che ancor oggi perpetua la sua leggenda nelle sale da biliardo del quartiere e sulle pagine di qualche rivista patinata, noto a tutti come "motocycle-boy", il ragazzo della motocicletta. Proprio in una prospettiva di tensione imitativa Rusty, disancorato da una serena situazione familiare (madre fuggita di casa - padre alcolizzato), cerca di delinearsi a sua volta come capobanda, esibisce una caricata andatura da spaccone, accetta scontri violenti di supremazia-verifica personale. Quando però Motocycle Boy fa ritorno da un lungo viaggio, ovviamente "mitico" (California), Rusty rientra nel suo ruolo di fratello minore idolatrante e segue come un'ombra il suo impenetrabile eroe: sintomaticamente abulico, distaccato per contingenze fisiche dalle atmosfere del reale (è daltonico, soffre di un principio di sordità e probabilmente di una qualche turba mentale), Motocycle Boy è pure isolato, forse per intime disillusioni giovanili, dal flusso sociale della nuova generazione ("ha sbagliato parte e commedia" dice di lui il padre). Il suo unico interesse sembrano dei piccoli pesci siamesi «combattenti» (in inglese "rumble fishes"), sempre pronti ad attaccare i loro simili e perfino la propria immagine riflessa: "non combatterebbero se fossero nel fiume, se avessero spazio" ripete assorto a Rusty davanti all'acquario del negozio di animali. La conclusione non può essere che quella di osare la trasgressione, saccheggiando il negozio e riportandoli nel fiume. Motocycle Boy pagherà il suo gesto con la vita, ma con i pesci anche Rumble Fish-Rusty seguirà il fiume fino al mare. L'immagine finale lo immortala a cavallo della motocicletta, su una spiaggia: come dice la scritta sul muro "the motocycle-boy reigns".

 

      Ricavato da un altro romanzo della stessa autrice di The Outsiders (da cui il più commerciale I ragazzi della 56a strada) Rusty il selvaggio è la voce d'autore sulla stessa nota sociale. La cifra stilistica evidente è l'uso del bianco e nero (perfetta la fotografia di Stephen H. Burum) motivato tematicamente dal daltonismo di Motocycle Boy, a stigmatizzare il carisma della sua personalità che pervade l'incedere di tutta l'opera. Ma quella che più si fa luce è la personalità di Francis Ford Coppola, la sua cultura cinematografica di cui è pregno ogni singolo fotogramma. Il minaccioso addensarsi iniziale delle nuvole trova la sua continuità nel fumo e nella nebbia che scivolano insidiosi nell'incerto vivere delle nuove generazioni (Ejzenstejn); il grande orologio senza lancette davanti al quale si fronteggiano Rusty, Motocycle Boy e il truce poliziotto segna emblematicamente lo stagnare del tempo, l'immobilismo delle situazioni (Polansky, Bergman); le "grate" proiettate dalle scale sulle pareti delle case hanno il pathos in chiaro-scuro dei drammi di Elia Kazan, il momento del dolore fisico e la paura della morte si trasfigurano nell'astrazione della lievitazione-sogno tra i luoghi umani più cari (Fellini?). Lo scontro con la banda rivale é caratterizzato da un accavallarsi di immagini contrastate tipico del "rock movie" (il tema musicale che preme sul film, per esplodere solo sui titoli di coda, è di Stewart Copeland, batterista dei Police); il montaggio incalzante, i primi piani caricati e la trasparente profondità di campo, le inquadrature sghembe e la "camera" inquieta sono momenti tecnici sublimanti di un'atmosfera esistenziale che rimandano ancora ad Ejzenstejn ma soprattutto ad Orson Welles (la sospirata fusione del cinema d'autore europeo ed americano!).
Il colto formalismo di Coppola riesce sostanzialmente a non essere mai fine a se stesso e a conciliare il richiamo cinefilo (come non citare ancora il sex-appeal della teen-star Matt Dillon che ammicca ai vari Brando, Newman, Dean e pure l'aleggiare di Easy Rider nella figura del padre alcolizzato, Dennis Hopper?!) con l'essenza sociale del momento filmico: al di là del simbolismo base del Rumble-fish (titolo originale della pellicola) gli spunti di riflessione esistenziale brillano qua e là con la stessa forza dicotomica del colore dei pesci combattenti (e del sangue finale) sull'intensa omogeneità del bianco e nero: lo spettro della droga ("ha rovinato le bande, ha rovinato tutto... le bande torneranno basta che sparisca la roba, si tornerà a socializzare"), il bisogno di affetto di Rusty (ha sofferto un trauma di solitudine a soli due anni), l'incoerenza spersonalizzante dell'emulazione ("tu sei meglio di un duro, tu sei dolce" gli dice la sua ragazza che egli perderà proprio per esseri lasciato coinvolgere in una "festa di gruppo"), il contrasto tra il vitalismo giovanile e la degradazione della violenza (l'inquadratura in dettaglio, nel duello, delle scarpe da ginnastica di Rusty James e del coltello del suo avversario), la futilità del protagonismo ad oltranza ("se vuoi guidare la gente devi avere dove andare..."). Su tutto comunque, sempre la straripante forza figurativa, lo straordinario talento visivo di Francis Ford Coppola: con lui finalmente le immagini sono lampi d'autore, il cinema è cinema.

ezio leoni   Espressione Giovani  maggio-giugno1984

Soggetto: dal romanzo omonimo di Susan Eloise Hinton. Sceneggiatura: Francis Ford Coppola e Susan Hinton. Fotografia: Stephen S. Burum. Montaggio: Barry Makin. Musica: Steward Copeland. Scenografia: Dean Tavoularis.
Interpreti: Matt Dillon (Rusty James), Mickey Rourke (Motorcycle Boy), Diane Lane (Patty), Dennis Hopper (il padre), Vincent Spano (Steve), Nicholas Cage (Smokey).
Produzione: Hot Weather Films. Distribuzione: Medusa.

"Un film deve assomigliare ad un essere umano: nell'irregolaritą e nella sensualitą"
[Francis Ford Coppola]

      Quale definizione per Francis Ford Coppola (Detroit - Michigan, 1939)? Forse "transitional director" (regista della transizione) per la sua concezione alternativa dell'attività cinematografica nella sua globalità, che lo ha visto uscire dalla famosa UCLA (University of California Los Angeles), impratichirsi nel mestiere alla "factory" di Corman (esordisce nel 63 proprio con un horror: Terrore alla tredicesima ora), farsi un nome come sceneggiatore (nel 66 con Questa ragazza è di tutti di Pollack, nel 70 con Patton, generale d'acciaio che fa man bassa di Oscar) e come regista sensibile (Non torno a casa stasera, La conversazione) e astuto (i due Padrini). Quindi intraprendere l'attività di produttore con la "American Zoetrope" nel 70 facendo da "padrino" a John Milius e George Lucas (THX 1138 e American Graffiti) e con "The Directors Company" (nel 72, in società con Bogdanovich e Friedkin), vincere a Cannes prima per la purezza espositiva di La conversazione (74) poi per la grandiosità nel coniugare a tutto schermo il binomio merce-ideologia (Apocalypse now, 79); subire nell'82 il tracollo per l'operazione avanguardistica mal coordinata di Un sogno lungo un giorno (gli costa la vendita degli "Hollywood General Studios" della Zoetrope). E ancora rivelare la sua caparbietà da despota industriale proprio nei confronti dello stimato Wim Wenders (Hammett: indagine a Chinatown), per risalire infine di nuovo la china, sempre in "solitudine alternativa", con l'accoppiata I ragazzi della 56a strada-Rusty il selvaggio, due film dell'82-83 simili solo in superficie tematica ma intesi (secondo la sua antica, proclamata filosofia realizzativa) il primo come macchina-accumula-denaro, il secondo come autentica espressione artistica dell'autore cinematografico. C'è il rischio infatti che nel gigantismo del suo operare vada persa in parte la mirabile figura del Coppola regista, o meglio director, prima di tutto attento alla fondatezza contenutistica del soggetto e della sceneggiatura di base (la sua firma è presente, tranne che per Sulle ali dell'arcobaleno, nella totalità delle sue opere) e poi maestro nell'organizzare il complesso filmico al meglio dell'espressività visiva: il suo secondo lavoro Buttati Bernardo (66) è una fresca anticipazione delle tematiche giovaniliste della New Hollywood ed allo strano scivolone del 67 con Sulle ali dell'arcobaleno (ma non tutto è da buttare in questa "kitsch-senility" del musica») fa seguire il toccante Non torno a casa stasera (69), soavemente profondo nel contatto psicologico tra Natalie (Shirley Knight) e Killer (James Caan) sullo sfondo di un'America suburbana fredda di sentimenti e «fradicia di pioggia» (The Rain People è il titolo originale: "la gente della pioggia è fatta dipioggia, quando piange, sparisce"). Girato in esterni, in piena alternatività alla politica degli studios, vagabondando cinque mesi con la troupe attraverso gli States, costruito con un grande entusiasmo sulla sincerità del soggetto, sull'evocaticità del flash-back e sulla forza dei dettagli, finemente amalgamato grazie alla crescente ed essenziale abilità nella fase del montaggio, Non torno a casa stasera risulta alfine un'affascinante road-movie al femminile, nel cui clima rarefatto prendono corpo i fantasmi del cinema europeo, grande mito di Coppola (Bertolucci ed Antonioni in particolare), arrivando a plasmare una delle opere più limpide e genuine del Nuovo Cinema Americano.
Certo il paradosso del suo far cinema irrompe sfacciatamente con la saga del Padrino (Il Padrino, 72 - Il Padrino parte II, 74) che però non va letta solo come una commerciale summa-gangsteristica, ma pure come un'azzardata analisi in chiaro-scuro (evidenziata tecnicamente dalla puntigliosa fotografia di Gordon Willis) dell'espandersi del colosso civile americano nell'adeguamento singolo-collettivo (la «famiglia» come insieme di relazioni affettivo-sociali) al mercantilismo della non-ideologia, dell'imperialismo economico, delle alleanze cooptate dall'arroganza e dalla violenza insinuante ("gli farò un'offerta che non potrà rifiutare" é lo slogan espansionistico dei Corleone). E' proprio tra la magniloquenza dei due "padrini" che si fa strada comunque la lucidità strutturale e drammatica di La conversazione (74): Coppola va al di là dell'ovvio richiamo a Blow Up (lì la verità strappata alle istantanee fotografiche, qui le sconcertanti rivelazioni di un collage sonoro) e descrive, quasi dieci anni dopo, non più l'inquietudine intima del singolo nell'incomunicabilità del vivere contemporaneo, bensì la lacerazione della privacy nella frenesia alienante della metropoli americana.
Ci vogliono poi ben cinque anni (la gestazione del mostro) perché l'angoscia interiore, di cui il Vietnam è stato un cruento esame di coscientizzazione, esploda in Apocalypse Now (79): i bagliori del napalm del colonnello Kilgore e della colossale invenzione figurativa di Coppola fanno da cornice-incubo al viaggio di rivelazione interiore del cap. Willard. Sul canovaccio di «Cuore di tenebra» di Conrad, faccia a faccia con l'impenetrabilità divistica del Kurtz-Marlon Brando, il cinema americano scopre la propria assurda frontiera fatta di opulenza architettonica (circa 40 milioni di dollari per la realizzazione) e di insicurezza culturale (i richiami colti a Thomas Eliot, Frazer, Weston), di rimpianti acidi (le atmosfere rock della colonna sonora) e di protervia immaginifica (l'abbacinante bombardamento finale).
Vinta la scommessa commerciale ed intellettuale di Apocalypse Now, l'intelligenza avanguardistica di Coppola si arena ironicamente proprio nella più alternativa ed elementare delle iniziative, l'osmosi feconda tra i linguaggi del cinema classico e delle nuove tecnologie elettronico-televisive. Il tonfo di Un sogno lungo un giorno (in cui l'innovazione elettronica è in fin dei conti solo ai primi passi, limitata più che altro al "service" di pre-impostazione e di controllo) è da addebitare non tanto alla presunzione del lussureggiantem osaico d'immagini quanto alla scarsa personalità della base musicale, che anziché cementare armonicamente il contesto, toglie proprio la scintilla vitale a quello che avrebbe potuto essere il musical più sfolgorante e modemo degli anni '80 (coincidenza veramente insolita per un autore così meticoloso e per di più particolarmente legato al discorso dei contenuti sonori dalla figura di papà Carmine, orchestrale e compositore)
Ora, con l'occhieggiare al botteghino del mediocre I ragazzi della 56a strada e con lo sfoggio stilistico e l'impatto visivo di
Rusty il selvaggio (pennellato in un bianco e nero ipermotivato e scolpito sui personaggi tramite un'impeccabile ricerca di ripresa e di montaggio), Francis Ford Coppola ribadisce la propria posizione di gigante del panorama cinematografico americano, altamente qualificato dal punto di vista filmico-culturale e conscio dell'immenso potere mass-mediologico del cinema, (secondo le sue dichiarazioni) «l'arma più potente dell'epoca moderna... destinato a diventare sempre più la coscienza collettiva, il legame che ci unisce tutti».

e.l. Espressione Giovani maggio-giugno1984

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