Simon Konianski
Micha Wald
- Belgio/Francia/Canada 2009 - 1h 40'

   Letteralmente "da non perdere". Tra i Coen e Little Miss Sunshine, un road movie picaresco, esilarante e commovente, all' insegna della memoria dolorosa, della sferzante autoironia, della brillante intelligenza della cultura ebraica. Belgio. Simon, ragazzo stagionato e svogliato, piantato dalla moglie ballerina e papà di un ragazzino sveglio, è tornato dal padre, sopravvissuto al lager di Majdanek. Non sopporta il culto del passato, gli zii fanaticamente osservanti, il partito preso pro Israele. Dà scandalo con T-shirt e discorsi filo palestinesi di Gaza. Ma quando il vecchio muore carica su uno scassato pick-up il figlio, i due vecchi zii logorroici e la salma, per intraprendere un viaggio iniziatico, tragicomico, alla volta del villaggio ucraino originario. Un film perfetto.

Paolo D'Agostini - La Repubblica

   Come tanta letteratura firmata da autori di prestigio, come tanto cinema che la segue, spesso però con ispirazioni autonome (Woody Allen, i fratelli Coen). Questa volta senza molti voli, ma in cifre in cui, pur con modi semplici, nel candore filtra l'ironia e la comicità accoglie anche note pensose, con echi in cui si ascoltano drammi lontani. Il regista, e autore del testo, è un ebreo belga, Micha Wald, incline a permeare di umorismo anche delle pagine qua e là derivate dalla sua biografia. Il protagonista, il Simon Konianski del titolo, ha superato la trentina, ebreo non osservante, ha sposato una «gay», cioè una cristiana, da cui ha avuto un figlio che non ha fatto circoncidere e che adesso vive con lui dopo che i due si sono separati. Simon, però, che non ha lavoro, anche perché non lo cerca, vive in casa del padre, un ex deportato assillato di continuo dal ricordo delle persecuzioni naziste. Quando questi muore, per assecondare le sue ultime volontà - farsi seppellire in Ucraina dove ha le sue origini - Simon si vede costretto a mettersi in viaggio in automobile, occultandovi la salma e scortato sia dal figlio sia da una coppia petulante e bisbetica di zii, violando, durante tutto il lungo percorso, quasi tutte le regole, comprese quelle della velocità. Riuscendo comunque nel suo intento. Intanto, appunto, quella famiglia ebrea, raccontata da uno di loro e, per interposta persona, dal regista del film, poi le peripezie di quel viaggio che qua divertono, per contrattempi ed incidenti d'ogni sorta scaturiti spesso da incontri curiosi e pittoreschi (una comunità, ad esempio, che parla solo Yddish), là, sia pur con misura, sfiorano la commozione (come la visita non prevista che padre e figlio fanno proprio in un campo di concentramento in cui il padre e lo zio erano stati rinchiusi). In atmosfere affettuose, anche quando la satira vi è sottesa, con una galleria di personaggi che vi si fanno emergere sempre con molto colore, mai privandola comunque di affabilità e di garbo.

Gian Luigi Rondi - Il Tempo

   Frontale con coppia su panchina. Padre e figlio, nonno e nipote, su un divano, su un letto. Istantanee familiari da Simon Konianski, secondo lungometraggio del trentacinquenne belga Micha Wald. Film in cui ci si può amorevolmente, dignitosamente, festosamente perdere [...] In Simon Konianski l'atmosfera è dissacrante: rispetto alla morte, rispetto all'ebraismo di supporto e riporto. Il conflitto, tanto per intenderci, che si sviluppa è, almeno per mezz'ora, di malcelata ribellione di Simon (Jonathan Zaccai) nei confronti dei luoghi comuni che accompagnano la tradizione ebraica, rappresentati dall'arcigno papino (interpretato dallo one man show franco ebraico Popeck). Ironiche frecciate verso l'avarizia paterna che ricicla le bustine di tè, comiche pistolettate sulla circoncisione, cannoneggiamenti slapstick quando davanti al tg scoppia un "boicotta Israele, pro Gaza". Apriti cielo. Rito di passaggio, trasformazione della memoria. Simon anagraficamente e culturalmente fronteggia padre e parenti attorno ad una tavolata facendosi rincorrere forchetta e coltello a mo' di pugnale dallo zio incartapecorito che gli urla "nazista". Sequenza illuminante (ogni cosa è illuminata) per squarciare il velo sottile di un presunto nouveau realisme a favore di un umorismo irriverente a tratti grottesco. Così il classico on the road post mortem, countryside ridanciano con piume d'oca svolazzanti, serve per una riconciliazione laica del protagonista rispetto ad un'invadente e rigida tradizione familiare. Più importante è ciò che accade in itinere, rispetto alla meta/sepoltura...

Davide Turrini - Liberazione


promo

A 35 anni suonati, Simon, torna a vivere con suo padre, reduce dai lager. I due si rendono la vita impossibile, ma quando suo padre muore, Simon decide di esaudire le sue ultime volontà: essere sepolto nel villaggio in cui è nato. Ne scaturisce un road-movie inedito in cui Simon, insieme al figlioletto, copre un tracciato picaresco e comico accompagnato dal fantasma conviviale del padre e una serie di personaggi da fumetto pop. Un cinema della diaspora generazionale e religiosa che si fa geografica, quello che ha Dani Levy e quel geniaccio di Moni Ovadia come alfieri. È il binario parallelo di un cinema israeliano in grande salute, che riflette (su) se stesso con dialoghi al vetriolo e un’autoironia spiazzante.

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TORRESINO - maggio 2010

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