Il tamburo di latta (Die Blechtrommel)
Volker Schlöndorff – Germania, Francia 1979 2h 22’

Palma d'oro

    Se n'è appena andata Maria Braun, arriva Oskar del Tamburo di latta: un altro modo di vedere la Germania, un altro spaccato di storia tedesca vibrante nel punto più empio, gli anni del nazismo. Fassbinder sogghignava, con una parafrasi melodrammatica, sulla ricostruzione del dopoguerra; Schlöndorff, che ha un senso più severo della politica e delle ascendenze culturali, cerca nel recente passato un germe di continuità e di spiegazione.
Ma naturalmente non ha fatto solo un film storico o un film politico; ha pitturato una grande scena, grottesca, affollata, divertente, traendola dalla riserva immaginosa e sarcastica del romanzo di Grass pubblicato sul finire degli anni cinquanta. Lo spettatore è coinvolto e turbato da una favola che si: fa parabola, da una favola che non si chiude, il suo protagonista abita nei nostri tempi. Forse per stare con noi ha rifiutato di crescere durante il nazismo. Il film è la storia meravigliosa e ridicola di questa non crescita.
Oskar vede la luce a Danzica alla vigilia della dittatura, in un posto cruciale, in un momento cruciale. Non vorrebbe neppure abbandonare la tenera, rossa caverna dell'utero materno; gli piacerebbe ingoiare il tempo per fermare la Storia. Solo la promessa di un tamburo di latta (infaticabile strumento di gioco e di disturbo) lo induce a entrare nel mondo. Nutre verso la famiglia e la società tedesca un affetto iroso e spaventato, è pronto al ricatto come allo sconforto, punisce gli altri perché non lo proteggono. A metà dell'infanzia decide di restare un bambino, dopo una rovinosa caduta smetterà di crescere.
Ha scelto tempestivamente il ruolo del testimone e del rompiscatole, sfrutta le sue doti e i suoi mezzi. Ha una voce così acuta che uno strillo manda in frantumi tutti i vetri dei dintorni; ritma sul suo tamburo la grottesca necessità di quello che la Storia sta tramando. Il suo incontro col nazismo sarà una memorabile carica di tamburo contro una parata. Vedrà l'ascesa e la caduta della dittatura da un posto privilegiato, dal basso, fingendo di poter restare passivo e incorrotto. Prenderà il divertimento con cinismo dove si trova, tra le divise e le finzioni marziali.
Mentre un poco per volta la guerra dirada la sua famiglia, compirà un suo viaggio personale nell'orrore travestito da farsa. Un nano in abiti di gerarca nazista gli rivela: «Noi siamo troppo piccoli per perderci di vista». Alla fine della guerra, all'arrivo delle truppe sovietiche, Oskar capisce che il suo gioco è finito, diventerà adulto su una carriola mentre si dirige all'Ovest.
Il tamburo di latta che ha ottenuto la Palma d'oro a Cannes con Apocalypse Now sta insieme con un laborioso e suggestivo equilibrio. Anche se qua e là si sente il peso della fatica. La lingua di Schlöndorff non è fiabesca, ha il minuzioso realismo degli incubi e della Storia; ma a tratti s'accende, tra nani e nazisti, qualche brillio affettuoso che si direbbe felliniano. È stato Schlöndorff a richiamare, solo per analogia critica, Amarcord di Fellini, che era il ritratto del borghese italiano, del provinciale italiano dentro il fascismo, come il Tamburo è la caricatura, ma anche la salvezza del piccolo borghese tedesco, quando non accetta i fatti e sopravvive nell'anarchia, in attesa di tempi propizi.
Ma quante volte anche i non tedeschi hanno desiderato e desiderano, per rabbia e protesta contro la Storia, di non crescere, di rimanere puliti e provocatori come i bambini. La protesta di Oskar, nel romanzo, continuava anche nella Germania del dopoguerra: si fingeva Oskar in manicomio, adulto, reso deforme simbolicamente da una gobba. Schlöendorff ha detto che vuol completare il film traducendo l'ultima parte del romanzo e idealmente aggiornandola. Per lui Oskar, oggi, oltre la gobba, e la pazzia, potrebbe essere una specie di estremista liberale, uno ché rifiuta ancora, protestando contro ogni ordine e contrordine violento. Anche se Grass avvertiva in fondo al libro: «Non chiedete a Oskar chi è. Egli non ha più parole».
Sul gran fiume di immagini spicca il volto di David Bennent, eccezionale protagonista dagli occhi azzurri, petulante tambureggiatore nelle cattive coscienze.

Stefano Reggiani - La Stampa

cinema invisibile TORRESINO ottobre-dicembre 2009

promo

Dal romanzo di Günter Grass, la storia di Oskar Maatzerath, il bambino che si è rifiutato di diventare adulto, dalla nascita nel 1924 alla sua partenza verso l’ovest (12 giugno 1945). Da quel momento, nel libro, il tamburino di Danzica accettava di crescere e diventa un nano con due gobbe, ricoverato in un manicomio. Sullo schermo Schlöndorff si limita a raccontare le avventure del ragazzino ribelle che per protesta contro le follie della società batte forsennatamente il suo tamburo e lancia strilli da spaccare i vetri... Felice nella scelta del ragazzo-attore David Bennent, il regista ha pitturato una grande scena, grottesca, affollata, divertente, sforzandosi di conciliare le esigenze del grande spettacolo con quelle della fedeltà a una tradizione culturale.