Tarzan - Kevin Lima e Chris Buck - animazione USA 1999 - 1h 30'
Se scappi ti sposo (Runway Bride) - Garry Marshall - USA 1999 - 1h 44'
Happy Texas - Mark Illsley - USA 1999 - 1h 30'
La storia di Agnes Brown (Agnes Brown) - Anjelica Huston - Eire/USA 1999 - 1h 31'

  

     La leggenda di Tarzan ha un background filmico più ricco di quello letterario. Circa trenta i romanzi di Edgar Rice Burroughs (il primo, Tarzan delle scimmie, nel 1912), quarantasette, con questo, i prodotti in pellicola (ma se contassimo anche fumetti da una parte e telefilm dall'altra…) e il nuovo lungometraggio Disney (37° per restar sui numeri) rientra nel progetto "mitico" della casa di Topolino, quello di rivisitare i classici dell'avventura e della fiaba e di rigenerarli (omologarli?) nel linguaggio sempre più potente dell'animazione.
Qui il racconto è lineare e più che mai "political correct": il piccolo cucciolo d'uomo viene adottato dai gorilla (e salvato dalle zanne del leopardo Sabor, che poco prima si era pappato il gorillino di mamma Kala) e cresce nella giungla assimilandone la tonificante essenza (la comunità degli animali come specchio dell'eden perduto?) e la combattiva vitalità (l'atteso scontro con Sabor lo vede alfine vincitore). Il capobranco Kerchak continua a nutrire dubbi sull'opportunità di questa intrusione etnica ed ha ragione perché, quando i nostri s'imbattono negli umani (una minispedizione scientifica: anziano zoologo, più figlia, più marcantonio di supporto), le dinamiche narrative si sviluppano con prevedibile, ineluttabile conflittualità. Tarzan e Jane flirtano tra i baobab, il professor Porter si gongola con le teorie darwiniane, il tronfio Clayton macchina la cattura dei gorilla… E' proprio l'ingenuo uomo-scimmia a tradire involontariamente il branco, mettendo a nudo il crudo cinismo della civiltà: dalla nave scende un'accozzaglia di marinai armati di gabbie e Clayton si dà da fare con il suo fucile. Kerchak fa da vittima sacrificale, ma le sue ultime parole sono di affetto e fiducia per Tarzan che, sconfitti i cattivi con l'aiuto dei suoi amici animali, rinuncerà a salpare verso l'Europa e resterà per sempre (con Jane e "suocero") nell'amata giungla.
Esplosione di commozione o di retorica? Dipende dall'età e dalla "preparazione" culturale (l'operazione Disney ha senza dubbio un apprezzabile valore divulgativo), ma quella che va presa di petto in
Tarzan è la "forma" della narrazione che, al di là di un messaggio buonista ed ecologicamente avventuroso, si fa lussureggiante nell'inoltrarsi in una giungla disegnata con splendida accuratezza e sorprendente profondità prospettica (il nuovo marchingegno digitale si chiama deep canvas).

In essa Tarzan si muove con andatura felina (la piena consapevolezza della posizione eretta arriva solo nel finale), vola a ritmo frenetico tra le liane, scivola in stile skateboard sui rami di alberi giganteschi. Non mancano le situazioni caricaturali (specie nella prima parte con Tarzan, la gorilla Terk e l'elefante Tantor ancora "ragazzi") e le smielate canzoncine d'atmosfera (stavolta ad opera di Phil Collins), mentre l'impatto della violenza è ovattato al limite del ridicolo (non una goccia di sangue sulla punta della lancia con cui Tarzan trafigge Sabor!).
Eppure c'è qualcosa che ci sfugge nell'alchimia comunicativa di questi efficientissimi cartoons. Un po' come ne
Il Principe d'Egitto la magnificenza dell'impianto scenografico quasi soffoca il vibrare delle emozioni profonde. Il tocco Disney ci era sembrato più verace nei tratti dimessi di Mulan, più coinvolgente nell'empatico paternalismo di Il Re Leone. Qui la parola d'ordine è impatto visivo a tutto schermo, ma non si annoieranno alla lunga anche i bambini a confrontarsi con sentimenti e valori disegnati solo mediante triti cliché?
O forse i ragazzini migreranno, a far da alibi ai genitori-accompagnatori, verso la melassa cinematografica di Se scappi ti sposo. Torna l'accoppiata Richard Gere - Julia Roberts che si affida, dopo 9 anni di copioni rifiutati, proprio al regista di Pretty Woman, Garry Marshall. Ma i miracoli cine-romantici non sempre si ripetono. In questa coppia di indecisi (lui è un giornalista d'effetto che aspetta l'ispirazione dell'ultimo minuto, lei ha dei problemi col matrimonio e all'ultimo momento fugge dall'altare) non c'è un briciolo di originalità: le loro schermaglie mirano spudoratamente al lieto fine, le situazioni si riciclano in tono smunto, le gag sono scontate. Tra dispettucci e sorrisini, Richard e Julia gigioneggiano in soave banalità, con risultati sicuri per il botteghino. La ricetta è quella giusta: aplomb divistico elevatissimo, standard spettacolare minimo, livello mentale pseudo-infantile.
E un'altra "bufala" tra i successi annunciati è quell'
Happy Texas, venduto come spumeggiante esempio di cinema indipendente. In realtà una sequela di insulsaggini e luoghi comuni: l'ennesima commedia degli equivoci, i soliti imbarazzi delle avance gay, le contraddizioni della provincia USA, i simpatici criminali che si ravvedono, la sorpresa, sempre vincente, dell'amore vero. La noia è incombente, si ride di rado, ci si indispettisce spesso. Chi cerca un divertimento più' intelligente (e un po' provocatorio) provi con East is East
Chi, ancora, chiede al cinema la capacità di un racconto compiuto, lo sforzo di descrivere situazioni e psicologie di vera umanità, tra amarezze e voglia di vivere, non si perda invece
La storia di Agnes Brown. Diretto e interpretato con piglio sicuro (pur senza impennate) da Anjelica Huston, figlia del grande John, il film non è niente più che un pezzo di vita dublinese, tratto dall'album di famiglia di una delle tante possibili storie di un popolo che di fermezza e genuinità ha saputo intessere la propria immagine civile. Ma con questa storia semplice, in questo ribadire l'eroismo sdrucciolo della gente comune (Agnes-Anjelica rimane vedova con sette figli da mantenere e gli strozzini che la mettono alle corde) Agnes Brown pervade lo schermo di un forza cinematografica verace e quasi anacronistica: una Dublino anni '60 con i suoi rioni popolari, le sue chiese e i suoi pub e con una comunità dal cuore grande e dallo spirito indomito. Tra Roddy Doyle e Frank Capra, tra una sommessa love-story e un bizzarro cammeo di Tom Jones, Agnes e le sue amiche danno un soffio di speranza non solo alle loro grame esistenze, ma ad una visione del cinema che dia senso alla nostra passione di spettatori.

ezio leoni - La Difesa Del Popolo 25 dicembre 1999

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