La terra
Sergio Rubini - Italia 2006 - 1h 52'

da Il Corriere della Sera (Maurizio Porro)

        Nel nuovo potente film di Rubini, i riferimenti sono ottimi e abbondanti, letterari e antropologici. I Karamazov, certo, ma anche Rocco, quello di Visconti, con i fratelli: se non fosse partito per Milano, sarebbe successo quello che ora accade in questo rusticano melodramma. Quattro fratelli in lotta per la proprietà, nelle ancestrali radici del profondissimo, magico Sud in cui resta irretito fuori tempo massimo il prof. di filosofia Bentivoglio che con finezza e cinismo dipana un dramma di famiglia che muta a vista in thriller quando il laido usuraio è ucciso. L'autore ci dà dentro: storia densa, esasperata, fin troppo ricca di grida, denti, sopracciglia, ugole, gengive (vedi Venturiello). La scena clou è la processione, Briguglia (il buono, l'Idiota) e Solfrizzi, in corsa azzurra politica, sono bravissimi.

da L'Unità (Alberto Crespi)

        Popolo italiano, sull’attenti: c’è un nuovo. bravissimo regista in città. A dire il vero è attivo da oltre 15 anni. è famoso soprattutto come attore e aveva già diretto 7 film: ma l’ottavo, che esce oggi e si intitola La terra, è un salto di qualità che colloca Sergio Rubini film precedente in archivio (di lui stiamo parlando) nel ristretto novero dei cineasti italiani che contano. Perché mescola i generi con sapienza, rende grottesco il glorioso tessuto narrativo della commedia, dice cose violente e profonde sull’architrave della nostra società: la famiglia, vera protagonista del film. Luigi Di Santo (Fabrizio Bentivoglio) è un professore di filosofia. Vive a Milano, ma è di origini pugliesi, e m Puglia deve tornare per l’improvvisa morte del padre. C’è di mezzo un’eredità, una terra sulla quale vive il fratellastro Aldo (Massimo Venturiello) e che l’altro fratello Michele (Emilio Solfrizzi), «sceso» in politica, vorrebbe vendere. Michele è pieno di debiti e odia visceralmente il «bastardo» Aldo, che ricambia di tutto cuore e si rifiuta di vendere il lascito paterno. C’è anche un quarto fratello, Mario (Paolo Briguglia), un adolescente dalla sensibilità esasperata che lavora come volontario con gli handicappati. Quando Luigi arriva in paese, uno di questi sventurati al quale Mario era legatissimo è appena morto, caduto dalle scale. Il poveretto si è ucciso dopo i maltrattamenti subiti dallo strozzino Tonino (lo stesso Rubini), con il quale Michele è pesantemente indebitato. Tonino ha una moglie crudele e orrenda, con la quale condivide un passato di crimini inconfessabili, e un’amante russa che se la spessa con Aldo e vorrebbe mollarlo. Come avete capito, tutti i quattro fratelli avrebbero buoni motivi per augurare a Tonino le più atroci disgrazie: e quando l’usurario viene ucciso a colpi di doppietta durante una processione, i Di Santo sono i primi sospetti...
La terra è, in prima battuta, la storia dello spaventoso verminaio nel quale il «milanese» Luigi si trova invischiato nel borgo
natìo. È anche, quindi, il suo progressivo ritorno alle radici: più Luigi rimane sul posto, più i valori arcaici del Sud gli succhiano letteralmente il sangue (ed è mirabile la metamorfosi di Fabrizio Bentivoglio, che passa quasi impercettibilmente dall’azzimato accento milanese della prima parte all’aspro pugliese della seconda). Alla fine, nel nome di una presunta giustizia che naturalmente non coincide con la legge degli uomini e dello Stato, trionfa il senso antico della famiglia: ma quella dei Di Santo è una famiglia terribile, che nasconde violenze private e pubbliche. nel passato come nel presente e, c’è da giurarlo, nel futuro.
Rubini e Bentivoglio hanno confessalo di avere, entrambi, una passione: i fratelli Karamazov di Dostoevskij. Il paragone funziona: Aldo, sensuale e bastardo, è una sintesi del gaudente Dmitrij e del parricida Smerdjakov, mentre il puro di cuore Mario corrisponde al «santo» Aljoscia e il professore Luigi somiglia molto al «filosofo» Ivan, quello che discorre col demonio. Viene in mente, a questo punto, un’altra storia di fratelli del Sud, raccontata da Luchino Visconti tanti anni fa: anche
Rocco e i suoi fratelli permetterebbe il giochino delle corrispondenze (Aldo/Simone, Mario/Rocco, Luigi/Vincenzo) e anche quel vecchio capolavoro era, in filigrana, una riscrittura dell’Idiota. Curioso: 45 anni fa come oggi, Dostoevskij funziona sempre, è un ottima cartina di tornasole per analizzare la società italiana, la sua finta modernità, la sua omertà. il maschilismo rampante che la condiziona. E dalle suddette equazioni resta fuori il personaggio di Michele: perché è il più moderno, quello che per fare politica si venderebbe qualunque cosa, e nemmeno Dostoevskij e Visconti sarebbero arrivati a immaginarlo...
La terra è una commedia che si trasforma in tragedia senza fare sconti a nessuno. Rubini gira il film come uno spaghetti-western, isolando i personaggi su un paesaggio pugliese che sembra il (finto) Messico di Sergio Leone. Per sé, ritaglia un ruolo talmente laido da far capire subito, e senza equivoci, quale sia il suo punto di vista morale sulla vicenda. Grande regia, grandi interpretazioni. Grande film.

da La Stampa (Lietta Tornabuoni)

da L'Indipendente (Antonio Valenzi)

        ...La terra non manca di momenti prevedibili: la contemplazione della bellezza fisica del Paese, delle acque trasparenti; la processione del Venerdì Santo con i suoi costumi antichi (ed è proprio durante il corteo che, come in un'opera lirica, esplodono colpi di pistola e grida); la masseria in abbandono, l'urlo «bastardo» che durante una lite riemerge nell'educato intellettuale contro il fratellastro; il mix di tradizione e attualità; la soluzione quando il professore assume il ruolo di capofamiglia disonesto. Pare strano oggi, in un mondo di esuli, emigranti e profughi, ritenere che la terra natale, le origini geografiche e culturali, abbiano ancora un'importanza decisiva, che ad esse inevitabilmente si debba una parte della personalità, magari quella parte che si è cercato con tutte le forze di cancellare. Può essere vero, oppure può essere un luogo comune obsoleto. La terra è in ogni caso un film sincero, ben fatto anche se a volte ripetitivo o disordinato, al quale è totalmente estranea la meccanicità inerte di tanto cinema contemporaneo, e con attori ammirevoli.

        Rubini torna alla regia. Dopo la scialba prova de L’amore ritorna l’attore regista pugliese questa volta fa un omaggio alla sua terra, alla violenta e pasionaria antropologia di un sud pugliese che si dipana tra piantagioni di ulivo ed un rapporto tra fratelli che –dopo tanti anni- sembra essere arrivato ad un punto di svolta. Le intenzioni sono buone e per la prima metà la costruzione para giallistica funziona anche, ma Fabrizio Bentivoglio è imbrigliato nell’interpretazione del solito professore già visto ne La scuola e la sua espressione monocorde non regge l’ora e 52 minuti di film. Peccato: ci potevano essere diverse occasioni per lasciare spazio al suo istrionismo che invece resta incollato alla caratterizzazione (godibile) del personaggio secondario che Rubini ritaglia per se. Insomma, la solita tiritera italiana che non affonda mai il colpo né alla critica sociale né ad un intimismo che dopo il grottesco della prima parte, sfocia in un ingiustificato e –tutto sommato- oscurantista melodramma.


promo

Luigi è un professore di filosofia che ritorna nella nativa Puglia da dove se ne era andato poco più che adolescente a causa dei forti contrasti con il padre-tiranno. Tornato nella terra natale, Luigi si ritrova coinvolto nel vischioso mondo da cui credeva di essersi allontanato per sempre... Tra Dostoevskij e Visconti, la violenta e appassionata antropologia di un sud nostrano che si dipana tra piantagioni di ulivo ed un rapporto tra fratelli che, dopo anni di omertà d'affetti e rancori, sembra arrivare ad un punto di svolta. Una storia storia densa ed esasperata, una superba prova di recitazione, una regia possente che sa passare da commedia a tragedia affrontando senza compromessi i conti sospesi del passato.

TORRESINO - aprile 2006
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